AGI – Nei fiumi e nei laghi della Sardegna, scrigno di biodiversità che qualche esperto paragona alle Galapagos, nuotano ora in prevalenza pesci ‘alieni’. Le specie alloctone, cioè introdotte nell’ultimo secolo nei corsi d’acqua dell’isola sono ormai il 74%, a fronte del 26% di quelle autoctone, come l’anguilla europea e la trota sarda: quest’ultima, segnalata per la prima volta nel 1777 dal naturalista e abate Francesco Cetti, è considerata a grave rischio di estinzione.
Delle otto specie ittiche originarie della Sardegna, una è ormai estinta, mentre il numero di esemplari ‘alieni’ è progressivamente aumentato da fine ‘800 in poi, soprattutto dagli anni Novanta del secolo scorso. La ‘mappa’ della fauna ittica nella rete idrografica della Sardegna – qualche fiume perenne, laghi artificiali (con l’eccezione del Baratz) e torrenti ‘effimeri’ – è tracciata nella Carta ittica regionale: costata 7 anni di lavoro, a cominciare dal 2015, è stata presentata a Cagliari in un webinar organizzato dall’assessorato regionale all’Ambiente in collaborazione con l’università.
I due volumi, per un totale di 428 pagine, sono il risultato degli studi e del monitoraggio sul campo di un team di docenti, assegnisti e dottorandi di ricerca dell’università di Cagliari coordinato da Andrea Sabatini. Le analisi genetiche sono state affidate, invece, a un gruppo guidato da Vincenzo Caputo Barucchi, del dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente dell’università Politecnica delle Marche.
Tra fine ‘800 e i primi del ‘900’, le specie ‘estranee’ avevano lo scopo di aumentare il numero di pesci nei fiumi sardi. Nel 1922 fu introdotta la gambusia, ora diffusa ovunque nei corsi d’acqua sardi, per contribuire alla lotta biologica contro la malaria, ma dal 1926 i pesci alloctoni sono stati importati per favorire la pesca sportiva, a cominciare dai laghi Coghinas e Omodeo, quando arrivò il persico, per proseguire coi laghetti del Cagliaritano (col persico trota) e con lago di Baratz (Sassari), dove nel 1962 fu introdotto il pesce gatto: vorace, predatore di esemplari giovanili di altre specie e persino di anfibi.
Insomma, un ‘killer’ per gli autoctoni, così come lo sono diventati due specie di gambero: quello rosso della Louisiana, sbarcato in Sardegna per scopi di acquariofilia e allevamento, e il marmorato, quest’ultimo onnivoro, capace di riprodursi per partenogenesi, estremamente dannoso e ora bersaglio di una difficile campagna di eradicazione che nel 2019 l’allora ministero dell’Ambiente affidò alla Regione.
Dalla fine degli anni ’80 servirono anche specie come ‘foraggio’ per i pesci ricercati dai pescatori sportivi, in particolare nel bacino dell’Alto Temo, nel Nord Sardegna e nel Coghinas. L’ultimo arrivato, nel lago dell’Alto Flumendosa, è il luccio europeo, fra il 2011 e il 2014, prima che s’imponessero norme per la tutela della biodiversità.
“Le specie importate trasformano la composizione delle comunità ittiche delle acque interne della Sardegna”, segnalano gli studiosi che hanno lavorato alla Carta ittica e monitorato 214 siti in 39 bacini idrografici, censendo circa 4 mila esemplari di 23 specie, appartenenti a 11 famiglie. Oltre il 60% delle alloctone è stata introdotto nei laghi, per la pesca ricreativa o come pesci foraggio necessari per le popolazioni utili alla prima attività, e da qui si sono diffuse nella maggior parte dei corsi d’acqua dell’isola.
Ora le specie ‘aliene’ sono 16, a fronte delle 7 autoctone: di queste ultime la più abbondante, come numero e anche come presenza nei siti monitorati, è l’anguilla europea. La pesca sportiva è consentita, tramite concessioni demaniali, solo in cinque tratti fluviali, nel rio Butule (nel Sassarese) e nei laghi Posada, Gusana e Govossai, nel Nuorese.
“Quando le specie introdotte si stabilizzano in un ecosistema sono difficilissime, se non impossibili, da eradicare. Contenerle richiede notevoli risorse pubbliche”, ricordano i ricercatori, che attribuiscono prevalentemente all’attività dell’uomo il modo in cui distribuzione e abbondanza dei pesci d’acqua dolce si sono modificate in Sardegna. Hanno contribuito l’inquinamento e gli sbarramenti artificiali, che hanno alterato gli alvei dei fiumi, la pesca illegale e l’introduzione delle specie ‘aliene’.
L’analisi genetica sulla trota sarda ha consentito di certificare nuove popolazioni ‘pure’, cioè non ibridate con specie alloctone, com’è avvenuto dopo l’introduzione della trota fario. Nel Rio Ermolinus, nella foresta demaniale di Montarbu, a Seui, nel cuore dell’isola, è in corso un progetto di ripopolamento della forma autoctona di trota sarda.
In tutta la Sardegna sono state individuate sette varianti genetiche di questa specie, più che in Corsica, secondo gli studiosi che hanno compilato la Carta ittica regionale, strumento ora a disposizione della Regione per definire politiche per la tutela della biodiversità.
Solo il 5% dei siti della rete idrica della Sardegna è in condizioni ambientali pessime. La maggior parte dei corsi d’acqua dell’isola (il 62%) presenta un indice di funzionalità fluviale, che consente di valutare lo stato di salute dei fiumi, buono o comunque elevato. Ma su questi ecosistemi incombe l’abbandono indiscriminato dei rifiuti, soprattutto il perdurante fenomeno del lancio di sacchetti lungo le strade vicine ai corsi d’acqua, sempre più inquinati dalla plastica.
I ricercatori dell’università di Cagliari che hanno lavorato alla stesura della Carta hanno riscontrato la presenza ‘ubiquitaria’ di macrorifiuti nell’86% delle 214 stazioni di campionamento. Di questi macrorifiuti oltre il 70% è rappresentato da plastica, di cui il 60% sono buste o frammenti di sacchetti.
Source: agi