Una mostra a Palazzo Baldeschi – Perugia mette a confronto i due grandi pittori umbri
di Paolo Spirito
“Il nero-affermava il filosofo Gilles Deleuze-è un apporto barocco, con esso il quadro cambia status: le cose sorgono da un fondo comune che testimonia della loro natura oscura”.
Il nero di Burri non è solo un fondale per l’opera, ma diventa carne, pelle e struttura che si piega, si lacera, cambia con il tempo e contrariamente ad altri paradigmi, non bisogna cercare di vedere al di là di quel buio.
E’ noto che tra la fine del Medioevo e il XVII secolo il nero perse il suo statuto di colore.
A riconferigli valenza cromatica fu soprattutto l’azione di Kazimir Malevič esponente di punta della corrente suprematista russa e autore del celebre Quadrato nero su fondo bianco (1915).
Nella religione, nella mitologia e nell’astrofisica il nero è stato l’immagine originaria di un mondo precedente alla manifestazione della luce e la sua tenebra si è estesa fino al concetto di “materia oscura”, di cui tuttora sembra sia costituito tutto l’universo.
Come non ricordare che La Luce del Nero fu il titolo prescelto per la grande mostra che inaugurò la riapertura degli Ex Seccatoi del Tabacco di Città di Castello, sede espositiva della Fondazione Burri insieme a quella di Palazzo Albizzini il 15 aprile dello scorso anno?
E NERO Perugino Burri è l’evocativo titolo della stupenda mostra per il Cinquecentenario del Perugino che dal 22 giugno al 2 ottobre 2023 mette in dialogo a Palazzo Baldeschi di Perugia le opere di due tra i più grandi artisti umbri attraverso il comune denominatore del nero, soluzione cromatica suggestiva e peculiare adottata da entrambi.
Un’esposizione che fa emergere i tratti comuni di due artisti pari per grandezza e solo apparentemente distanti.
Nata da un’idea della Fondazione stessa e realizzata in collaborazione con Fondazione Burri, l’esposizione è curata dalla storica dell’arte Vittoria Garibaldi e dal Presidente di Fondazione Burri Bruno Corà, che hanno accolto con entusiasmo la sfida di far dialogare le opere di Pietro Perugino con quelle di Alberto Burri, due artisti così lontani nel tempo, ma accomunati dal profondo legame verso la loro terra natia, l’Umbria.
Trait d’union del percorso, composto da una ventina di opere, è l’uso del nero che ne hanno fatto i due maestri: un colore problematico, spesso evitato dagli artisti, come afferma Bruno Corà: “Il nero è pieno di possibili valenze simboliche. È un colore azzerante e difficile da usare, capace di isolare qualsiasi forma o immagine che gli sia avvicinata, così come la può rendere emblematica. È un colore che suscita molte domande e tocca il sentimento in profondità”. Usato sapientemente dai protagonisti di questa esposizione, rappresenta una grande innovazione per l’epoca del Perugino ed uno dei tratti più ricorrenti nell’opera di Burri.
L’idea della mostra è nata dall’opera del Perugino la Madonna con il Bambino e due cherubini, una pregiata tavola dal sapore intimo e familiare, conservata proprio nella collezione permanente di Fondazione Perugia.
Il capolavoro ritrae la Vergine con il bambino che si stagliano su uno sfondo completamente nero, permettendo agli incarnati e ai colori delle vesti di risaltare in un modo assolutamente innovativo per l’epoca. Sono questi gli anni più belli del percorso del maestro, quando, attivo a Firenze, conosce e assorbe la pittura fiamminga e la luce di Leonardo, ma è anche coinvolto dall’atmosfera di Venezia dove si reca più volte nel corso degli anni Novanta.
Da qui la volontà di indagare l’uso dello sfondo nero in alcune opere del Perugino, tutte di piccolo formato e datate a cavallo tra il XV e il XVI secolo, dove non viene dipinto nessun paesaggio ideale o preso in prestito da una suggestione visiva, nessuna architettura prospettica, ma solo e unicamente il profondo nero su cui si stagliano i protagonisti della scena, come mai si era visto prima.
Questa ricerca ha permesso di ottenere importanti prestiti, come lo splendido Ritratto di Francesco delle Opere, probabilmente dipinto a Venezia, e il Ritratto di giovinetto, provenienti dalla Galleria degli Uffizi, e ancora la Madonna con Bambino tra San Giovanni e Santa Caterina del Museo del Louvre.
In dialogo con le tavole di Pietro Perugino esposte una decina di opere di Alberto Burri, in cui si riscontra il medesimo interesse per il nero inteso sempre non come mancanza di colore, ma come buio che permette alla luce di emergere.
Burri è stato un grande ammiratore e conoscitore dell’arte italiana del Rinascimento, come racconta la curatrice Vittoria Garibaldi: “Ho avuto l’onore di conoscere, ma soprattutto di frequentare Alberto Burri negli anni Ottanta. Era solito ripercorrere le vie del Rinascimento dell’Italia centrale insieme ai suoi più cari amici come Nemo Sarteanesi. È questo un dialogo dalle radici lontane e che trova conferma nelle linee, nelle forme e nelle sensibilità cromatiche che uniscono i due grandi artisti”.
In particolare l’Umbria, terra amata, animata da Piero della Francesca, da Raffaello e ovviamente da Perugino, ha lasciato radici indissolubili in Burri che si rivelano e trovano conferma nelle forme, nei colori e nelle composizioni delle sue opere, da Catrame del 1949 e Nero Cellotex del 1968.
Qui la materia emerge prepotente dalla tela e l’attenzione è posta tutta sull’equilibrio tra forma e colore, con una predilezione per il nero e lo scuro, tratto diventato emblematico dell’artista tanto da essere soprannominato “il maestro dei neri”.
Le opere di Burri così possono essere considerate una sorta di ideale dialettica proposizione con le tavole del Perugino: se nel Quattrocento il fondo nero si usava per far risaltare il soggetto principale dell’opera, in Burri il nero è protagonista assoluto, diventando materia viva che si espande ed emerge.
“L’intuizione di mettere a confronto i due maestri-conclude la Presidente di Fondazione Perugia Cristina Colaiacovo-si è sviluppata a partire dal desiderio di valorizzare, in occasione del Cinquecentenario, il gioiello più prezioso della collezione d’arte di proprietà della Fondazione: la tavoletta del Perugino Madonna con il Bambino e due cherubini. Da qui ha avuto origine il percorso, che inizialmente doveva essere dedicato al solo Pietro Vannucci e che, successivamente, ci ha condotto, grazie alla competenza dei curatori, a una mostra originale che rappresenta una vera novità nel panorama espositivo. Siamo molto grati alla Fondazione Burri per questa proficua collaborazione tra istituzioni culturali del territorio che continueremo a coltivare a beneficio dell’attrattività della nostra regione”.
Tratto da facebook profilo di Via Po