Aprire i ristoranti il 26 aprile è un segnale positivo. Ci abbiamo sperato e ne siamo contenti. Ma a ben guardare è una vittoria un po’ amara. Quasi una vittoria di Pirro. E speriamo solo che quanti la vedono solo come una quasi umiliazione del Ministro Speranza non debbano poi pentirsi per come la si è ottenuta. Si potrà tornare al cinema e a teatro, con distanziamenti e mascherine (?), e persino giocare a calcetto o basket (chi può garantire il distanziamento?), ma non ci si potrà sedere al bar o al ristorante “al chiuso” almeno fino al 1° giugno (pare). All’aperto si potrà però persino tornare a giocare a carte (che sono di carta …), ma non si dovrebbero sfogliare menu di carta….Un po’ di confusione e di mancanza di regole e dati scientifici pare evidente
Un rimedio all’italiana…
Diciamocela tutta: è certamente un passo avanti, una caduta nel muro dei divieti, ma sembra un po’ il solito rimedio italiano. Con un aggravante: non è così che si potrà sopire l’insoddisfazione e la rabbia dei tanti ristoratori che ora potrebbero trovarsi “divisi” nel fare i conti con la crisi. Con buona pace di chi voleva “bloccare” l’Italia se non si fosse ripartiti dopo il 25 aprile. E magari lo Stato risparmia magari un po’ di aiuti creando però trattamenti diversi fra chi ha l’aperto e chi no. Senza contare che c’è chi ha spazi aperti, ma non vuole aprire perchè “non si fida”. O semplicemente sa che con la stagione attuale è solo un rischio senza la “riserva” di potere stare all’interno… La questione vera è che con questa scelta si divide in due il mondo dei pubblici esercizi: chi dispone di spazi all’aperto e chi non li ha e non li può avere. “Divide et impera” (traduzione latina del motto di Filippo il Macedone) sembra essere la regola messa in campo per evitare di avere una rivolta dei gestori dei locali che hanno finora subito le chiusure e ricevuto solo elemosine. Un mondo, ci sia concesso forzare forse la situazione, per “spaccare” il fronte degli autonomi e delle partite Iva… In ogni caso, va detto, un fronte è stato comunque rotto: quello dell’arroccamento dei rigoristi ad oltranza che, magari per ragioni di prudenza, volevano mantenere ancora delle chiusure che agli occhi della gente sono semre più ingiustificabili. Da questo punto di vista il Ministro Speranza ha dovuto accettare la linea imposta dal premier Draghi.
Si può stare al chiuso in sicurezza
È vero che con la bella stagione (che è ancora tutta da cominciare) stare all’aperto vuol dire ridurre di molto il rischio di contagio da Covid, ma da tempo andiamo indicando che ci sono sistemi per stare in sicurezza anche all’interno (dalle distanze ai tessuti anti virus, dai test rapidi ai sistemi di igienizzazione dell’aria) e, comunque, ci sono protocolli che gli scienziati avevano validato già dopo il primo lock down. E non è certo dai ristoranti che sono ripartiti la scorsa estate i contagi, ma dai trasporti e dai centri commerciali affollati o dal mancato controllo delle movide o dalle discoteche aperte senza regole… E in ogni caso non c’è un solo dato scientifico che dica che in Italia è più pericoloso stare seduti al ristorante al chiuso che non su un autobus affollato!
Calugi: è mancato il coraggio
Per Roberto Calugi, direttore generale Fipe, è «mancato il coraggio…». «È ottima la decisione – dice – di permettere di lavorare anche la sera. Ci preoccupa, invece, la scelta che il pranzo sia inibito ai locali che non hanno spazio all’aperto perché crea una discriminazione interna e un’ingiusta distinzione tra chi potrà riaprire e chi invece resterà in lockdown». E in effetti il punto è questo. Ma se nelle scorse settimane in ziona gialla si poteva lavorare a pranzo, al chiuso, perchè ora non lo si può più fare? Ma qualcuno si rende conto che così si “travasa” clientela, in un mercato già ridotto all’osso, solo su chi ha un dehors?«Siamo consapevoli della situazione, ma il nostro è un settore al collasso – sintetizza Calugi – non è un esercizio retorico, è la verità. E diventa difficile capire perché possano riaprire tutti con gli opportuni protocolli e i nostri locali debbano limitarsi alle riaperture all’aperto. Speriamo che si tratti di una misura breve. Lancio un appello ai Comuni perché mettano a disposizione tutti gli spazi, dai parcheggi ai marciapiedi».
Ingiusto e grave aspettare fino al 1° giugno
Ecco il punto è questo. Se per il riavvio di tutti i locali si potrebbe anche accettare un periodo transitorio, aspettare oltre un mese, fino al 1° di giugno sarebbe inaccettabile,e il Governo deve sapere che stavolta non ci sarebbe possibilità di contare sul senso di responsabilità dimostrato da tutti. Anche perché non è da escludere che ci siano vistose violazioni delle norme. Poniamo il caso locali con spazi all’aperto con prenotazioni… ma poi piove. Che si fa? La logica vorrebbe poter trasferire all’interno (con tavoli distanziati di 2 metri) i clienti… Ma in questo caso salterebbe tutto questo impianto un po’ discutibile. E in ogni caso, chi controllerebbe che questa soluzione B non possa essere messa in atto?Ecco perchè la Fipe non ci sta a questa “divisione” del campo dei pubblici esercizi e non casualmente ricorda che metà dei bar e ristoranti italiani non hanno spazi all’aperto e non potranno quindi aprire il 26 aprile. Se poi si dovesse davvero attendere il 1° giugno sarebbe un disastro, un lockdown prolungato. «Riaprire solo le attività che hanno i tavolini all’esterno, significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi – si legge in una nota della federazione dei pubblici esercizi – . Il 46,6% dei bar e dei ristoranti della penisola non è dotato di spazi all’aperto e questa percentuale si impenna se pensiamo ai centri storici delle città nei quali vigono regole molto stringenti. Se questo è il momento del coraggio, che lo sia davvero. I sindaci mettano a disposizione spazi extra per le attività economiche che devono poter apparecchiare in strada ed evitare così di subire, oltre al danno del lockdown, la beffa di vedere i clienti seduti nei locali vicini».
C’è il rischio di gravi proteste sociali
E se le istituzioni non si muovono in fretta, gli scontri con le forze dell’ordine o i blocchi delle strade diventeranno all’ordine del giorno.
C’è poi una questione che va bene oltre le date: servono protocolli precisi, ed in particolare per i locali che lavorano sono al chiuso. «La data da sola non basta – conclude la Fipe – dobbiamo dare una prospettiva a tutti gli imprenditori. Bisogna lavorare da subito a un protocollo di sicurezza sanitaria stringente, che consenta la riapertura anche dei locali al chiuso e bisogna darci un cronoprogramma preciso, a partire dal 26 aprile. Non c’è più tempo da perdere. Nelle prossime ore chiederemo ad Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni, di collaborare con noi per spingere i sindaci a concedere il maggior numero di spazi esterni extra, in via del tutto eccezionale e provvisoria, agli esercizi che in questo momento ne sono sprovvisti. Sarebbe un bel segnale di unità e di voglia di uscire dal pantano tutti insieme».
Non vogliamo essere irriverenti. Ma in questa situazione ci viene da concludere ricordando quanto hanno scolpito sulla pietra i Carabinieri italiani nel 1942 dopo la sconfitta nella battaglia di El Alamein che avrebbe potuto cambiare le sorti della seconda guerra mondiale: “Mancò la fortuna, non il valore!”. Qui però non c’è né nemmeno il valore, ma solo la sconfitta di tante imprese e famiglie che meritano più rispetto e dignita’
fonte: Italia a Tavola