di Umberto Minopoli
La politica del clima ed ecologica aveva una sola possibilità di salvarsi: uscire dal movimentismo e dalle pure declamazioni e farsi politica di governo, trattativa tra Stati, diplomazia. Ne perde in massimalismo verbale, ma ne guadagna in efficacia e concretezza.
Da 30 anni, annualmente, l’Onu svolge le sue Cop (conferenze sul clima). Lo schema è stato sempre lo stesso: allarme crescente per il riscaldamento, appello agli Stati a fare qualcosa, documenti solenni che fissavano date per la decarbonizzazione, ma poi impegni mai osservati.
La CO2 in atmosfera, da 30 anni, aumenta sempre, anno dopo anno, inesorabilmente, nonostante gli appelli delle Cop a ridurla. Il metodo dell’allarme, della denuncia e della declamazione ha fallito. È bene sperimentarne un altro. Così al G20 (presieduto dall’Italia) e alla Cop26 (presieduta dalla Gran Bretagna) si è cambiato. In due direzioni: il compromesso tra gli Stati e una maggiore concretezza degli impegni.
Si è rovesciato il paradigma prevalso finora: non è più importante il fine dichiarato (la data della decarbonizzazione), ma il movimento verso di esso (le cose concrete da fare). E si accetta, finalmente, che agli Stati non si possono imporre politiche uniche e negli stessi tempi: nella convergenza su un’obiettivo (raggiungere il net zero entro la metà del secolo), tempi e politiche per raggiungerlo devono essere lasciate alla libertà dei singoli governi nazionali. Che solo, hanno accettato di darsi politiche nazionali pubbliche sul clima, controllabili.
Meno fascinazione e più concretezza. Era un po’ troppo mettere la politica del clima nelle mani inesperte dei ragazzi di Greta. È un tema di esperti, tecnici e governanti informati e consapevoli. Ne perde il movimentismo e il massimalismo climatico, propagandistico, catastrofista e declamatorio. Ne guadagna la politica del clima, in pragmatismo ed efficacia. E’ una grande svolta. A cui l’Italia ha dato un contributo decisivo.