Le riunioni alle prime luci dell’alba, l’arrivo al centro congressi, il ritiro dei pass con i big del partito in fila assieme ai delegati dei territori. Tornano i riti dell’assemblea dem dopo anni di riunioni in video collegamento, prima, e in modalità ‘ibrida’ – in collegamento e in presenza – poi. Quella di domenica sarà la prima riunione interamente in presenza. Le ultime di questo tipo furono celebrate da Nicola Zingaretti, in quel dell’Ergife, nella sala interrata dell’hotel sulla via Aurelia. La stessa sala in cui risuonò quel “hai la faccia come il c…” di Roberto Giachetti contro Roberto Speranza che fu il prologo della scissione. L’assemblea di domani sembra destinata a rimarginare quella ferita, anche in virtù di un congresso costituente che ha consentito un riavvicinamento e un lento ritorno alla casa madre dei compagni di viaggio di Articolo Uno, che già oggi condividono i seggi in parlamento con gli eletti dem.
Domani l’appuntamento è alla Nuvola, una prima assoluta anche questa, un taglio netto con il passato che chiude il congresso 2023 del Partito Democratico. Un percorso iniziato nel mese di ottobre, dopo la sconfitta dei dem alle politiche del 25 settembre e il passo indietro dell’allora segretario Enrico Letta, che non si è dimesso ma non si è nemmeno ricandidato, rimanendo al Nazareno come “garante del percorso congressuale”. Una posizione di arbitro imparziale, dunque, tanto che Letta non ha mai fatto cenno a una sua preferenza per questo o quella candidata. Contemporaneamente, il segretario ha avviato una fase costituente del partito, con la nomina di un Comitato Costituente che aveva il compito di rivedere lo statuto e “rifondare” su nuove basi il partito stesso. Un lavoro portato a termine solo a metà, tanto che dopo il varo del nuovo manifesto – con strascichi polemici fra sinistra dem e area liberal riformista – Letta ha chiesto ed ottenuto di lasciare aperta la fase costituente, dando mandato alla nuova segreteria di portarla a conclusione. Il 21 gennaio, in ogni caso, è stato approvato lo statuto che, da lì in avanti, ha regolato il percorso congressuale. A partire dal congresso dei circolo. Si tratta della prima fase congressuale, alla quale partecipano gli iscritti al partito, chiamati a pronunciarsi sulle mozioni, una per ogni candidato. Una novità, questa, rispetto a quanto accadeva fino a qualche anno fa, quando più mozioni potevano sostenere la stessa candidatura. A sfidarsi sono Stefano Bonaccini, Gianni Cuperlo, Paola De Micheli ed Elly Schlein. Al termine della consultazione, il 19 febbraio, i votanti risultano essere 151.530. Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini chiude nettamente in testa con il 52,8%. Elly Schlein risulta seconda con il 34,8. Più staccati Gianni Cuperlo e Paola De Micheli: il primo decide di non sostenere alcun candidato, conquistando di diritto circa 20 delegati in assemblea. La seconda converge invece su Bonaccini. Parte da qui l’ultima fase del congresso, quella che porta alle primarie. Il confronto si fa serrato, i due candidati rimasti in campo per quello che può essere considerato un ballottaggio percorrono il Paese in lungo e in largo. Elly Schlein riempie le piazze e i teatri, un elemento che fa subito intendere che la partita è più che mai aperta. Alle primarie del 26 febbraio si afferma Schlein, ribaltando per la prima volta nella storia del Pd il risultato dei congressi nei circoli che, da statuto, servono a selezionare i migliori due candidati che accedono alle primarie aperte. Bonaccini ha conquistato la maggioranza degli iscritti, ma è Schlein ad affermarsi fra il popolo del Pd. Quel popolo che, come vuole lo statuto, si esprime con le primarie aperte a tutti, iscritti e non: basta una sottoscrizione di un minimo di due euro e la firma sulla carta dei valori dem per pronunciarsi. Ai gazebo si presentano 1 milione e 98 mila persone, un risultato soddisfacente soprattutto alla luce della sconfitta elettorale alle politiche, di quella alle regionali, del cattivo tempo che consigliava una domenica da divano e tv e della giornata ecologica indetta a Roma. Schlein ottiene 587.010 voti (53,75%), Bonaccini 505.032 (46,25%). In virtù di questi numeri, a Elly Schlein andranno 333 delegati in assemblea su 600, mentre 267 saranno quelli per Bonaccini. Un vantaggio di misura, dunque, sul quale peseranno anche i membri di diritto dell’assemblea Pd: “I segretari fondatori del Pd, gli ex segretari nazionali del Pd iscritti, gli ex Presidenti del Consiglio iscritti, i segretari regionali, i segretari provinciali, i segretari delle federazioni all’estero, delle città metropolitane e regionali, la Portavoce della Conferenza nazionale delle donne, i coordinatori Pd delle ripartizioni estero, il segretario dei Giovani Democratici”. E ancora: “Cento tra deputati, senatori ed europarlamentari aderenti al partito indicati dai rispettivi Gruppi. I sindaci delle città metropolitane, dei comuni capoluoghi di provincia e di regione e i presidenti di regione iscritti ed in attualità di mandato”. L’Assemblea nazionale è infine integrata da un numero variabile di componenti, espressione delle candidature alla Segreteria nazionale, non ammesse alla votazione presso gli elettori. Si tratta dei venti membri della mozione Cuperlo. Già, ma cosa fa l’assemblea del Pd? Lo statuto spiega che “l’Assemblea nazionale e gli organi dirigenti da essa eletti”, come la direzione nazionale, “hanno competenza in materia di indirizzo della politica nazionale del Partito, di organizzazione e funzionamento di tutti gli organismi dirigenti nazionali, di definizione dei principi essenziali per l’esercizio dell’autonomia da parte delle Unioni regionali e delle Unioni provinciali di Trento e Bolzano”. Tuttavia, i membri integrati dell’assemblea non partecipano ad alcuni passaggi chiave dell’attività dell’Assise dem: “Per eventuali voti di fiducia o sfiducia al Segretario nazionale partecipano alla votazione i seicento delegati eletti mediante liste collegate alle candidature durante le primarie e i segretari regionali in carica”, si legge nello statuto. L’assemblea elegge il presidente che è anche presidente del partito, su indicazione del segretario: dopo il lungo faccia a faccia (in videoconferenza) tra Schlein e Bonaccini, la neosegretaria proporrà domani per quel ruolo il nome del governatore emiliano. E sempre l’assemblea elegge la direzione. Si tratta di un organo d’indirizzo politico che svolge le sue funzioni con il voto a maggioranza assoluta su mozioni e ordini del giorno. E’ composta da centoventiquattro membri. Sessanta eletti dall’assemblea nazionale con metodo proporzionale e da quattro rappresentanti eletti dai delegati all’assemblea nazionale della circoscrizione estero. Sessanta indicati dai livelli regionali, compresa la circoscrizione estero, tra amministratori locali e rappresentanti delle federazioni provinciali e dei circoli, “nel rispetto del pluralismo politico, congressuale e della rappresentanza di genere”, recita lo statuto. Equilibri che dovrebbero ricalcare quelli dell’assemblea visto che anche le assemblee territoriali, in virtù delle ‘convenzioni’ che ne legano la composizione all’assise nazionale. Assemblea nazionale, direzione nazionale e presidente del Partito, dunque, scaturiranno tutti dalla riunione di domenica. L’appuntamento è alle 10.30 al Centro Congressi La Nuvola, in viale Asia 25, a Roma. L’assemblea si aprirà sotto la guida della commissione congresso, seguirà la proclamazione della segretaria e si procederà con l’elezione del presidente e dell’ufficio di presidenza che, a quel punto, subentrerà alla commissione congresso. Nella seconda parte della giornata si eleggerà la direzione nazionale e il tesoriere. (AGI)