Sta nella definizione di “anti Meloni” che si è guadagnata in Piazza del Popolo, una delle ragioni del successo inatteso di Elly Schlein alle primarie. La presenza di una donna di destra a Palazzo Chigi “ha avuto un effetto trascinante” nell’elezione della segretaria Pd. Una considerazione che viene fatta anche in queste ore tra i dirigenti che si trovano a passare al Nazareno, tra pacchi che escono e sopralluoghi di chi sa di dover presto entrare. Eppure, sebbene considerate l’una la nemesi dell’altra, la presidente del Consiglio e la neo segretaria dem, hanno più di una caratteristica che le accomuna. Ad uno sguardo superficiale, le due leader non appaiono solo diverse, ma agli antipodi. A cominciare nel modo di presentarsi alle telecamere. Più formale nell’abbigliamento, anche per il ruolo che ricopre, la presidente del Consiglio; jeans e maglietta per la segretaria dem. Durante i comizi, Meloni alterna un registro da leader di partito e quello istituzionale, mentre Elly Schlein sceglie toni più simili a quella dell’insegnante alla lavagna, da divulgatrice (proviene pur sempre da una famiglia di accademici), non rinunciando a richiami al movimentismo. Se si guarda ai contenuti e all’offerta politica, poi, nemmeno a parlarne: l’una di sinistra-sinistra, l’altra di destra-destra. E su questa nettezza le due signore della politica italiana declinano i temi su cui sono chiamate a confrontarsi. Sui migranti, ad esempio, Meloni si schiera contro le Ong accusate di fare da spola con gli scafisti. Per Schlein, al contrario, “le stragi in mare pesano sulla coscienza di chi emana dei decreti per ostacolare i salvataggi”, molti dei quali effettuati dalle Ong. A confrontarsi, insomma, sono due ‘weltanschauung’ profondamente diverse, riassumibili in due dichiarazioni-manifesto. “Io Sono Giorgia: sono una donna, sono una madre, sono cristiana”, gridava la premier durante un intervento alla manifestazione di centrodestra in Piazza San Giovanni, nell’ottobre 2019. Parole ribadite, stavolta in spagnolo, nel giugno 2021 davanti alla platea del movimento dell’estrema destra iberica Vox. Un manifesto politico che Schlein ha preso in preso in prestito e ha rivisitato in chiave progressista e femminista. “Sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre, ma non per questo sono meno donna. Non siamo uteri viventi, ma persone con i loro diritti” gridava Elly Schlein durante la chiusura della campagna elettorale del Pd. Un discorso, quello di Schlein, che si è impresso nella mente degli elettori dem in Piazza del Popolo. Elettori che, fino a quel momento, avevano visto scorrere i volti dei dirigenti ‘storici’: dal segretario Enrico Letta ai ministri Guerini, Franceschini e Orlando, passando per i governatori Michele Emiliano e Vincenzo De Luca. Non stupisce che proprio l’intervento della 37enne allora non ancora deputata dem abbia scaldato i cuori e gli abbia consentito, mesi dopo, di conquistare la segreteria.
E’ questo il secondo tratto che Schlein e Meloni hanno in comune: la possibilità, data anche dalle circostanze favorevoli, di presentare una offerta politica totalmente nuova rispetto ai gruppi dirigenti che le hanno precedute. La premier in carica lo ha fatto nel corso degli anni, uscendo dalla comfort zone del centrodestra berlusconiano, scommettendo su un suo partito e portandolo a crescere anno dopo anno, guidandola in una lunga quanto solitaria traversata del deserto all’opposizione. Schlein è chiamata ad un’impresa simile, sebbene erediti un partito con una sua storia, con un gruppo dirigente di lungo corso. Una eredità che oggi viene percepita, anche dagli elettori del Pd, come un fardello, stando ai risultati delle primarie. Il terzo minimo comun denominatore tra premier e segretaria dem è dato dal fatto che entrambe hanno vinto contro ogni pronostico. “Sono una underdog”, una sfavorita, dice la premier poco dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi. “Nessuno ci ha sentito arrivare”, sembra far eco Elly Schlein nella prima dichiarazione da segretaria eletta. Il quarto e, fino a qui, ultimo punto in comune fra le due è il fatto che entrambe hanno abbandonato un luogo sicuro per inoltrarsi in territori sconosciuti. Meloni, dopo il cursus honorum nelle federazioni giovanili di Alleanza Nazionale, si fa strada nel partito e, poi, nel Popolo delle Libertà, fino a diventare la più giovane ministra di sempre con Silvio Berlusconi. Davanti all’impossibilità di andare oltre il ministero della Gioventù, però, decide di navigare in mare aperto con FdI. Anche Schlein, nel mezzo del suo percorso politico, lascia il partito che le prometteva una navigazione tranquilla. Lo fa perché non si riconosceva in un capo come Matteo Renzi e, soprattutto, in provvedimenti come il Jobs Act, la Buona Scuola e quella legge elettorale approvata con tre voti di fiducia, come lei stessa ha ricordato. (AGI)