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Passi avanti per cambiare la scuola

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di Giovanni Cominelli

Due influenti intellettuali sono intervenuti, in questi giorni, sulla necessità di fare una riforma radicale del sistema di istruzione e educazione. A Giorgia Meloni, che si è messa in testa di “fare la storia”, Galli della Loggia pare consigliare, in un editoriale de “Il Corriere della Sera”, di volare un poco più basso – in realtà sarebbe molto alto! – ponendo mano alla riforma del sistema di istruzione e educazione.

Cacciari su “La Stampa” invita il neo-Ministro della Cultura Alessandro Giuli a non inseguire le farfalle di una contro-egemonia di destra, ma, se proprio insista, si muova a partire dal sistema di istruzione: “non c’è egemonia sul piano culturale, se non c’è nella scuola”.

Questi due interventi sono qui richiamati solo per far notare che è ora di superare quella sorta di divisione del lavoro, per la quale gli intellettuali denunciano, i politici si danno da fare. Non funziona così. Perché non tutti gli intellettuali denunciano, i politici non si danno da fare. I politici devono prendere i voti nella prossima elezione.

La grandissima parte della politica italiana non sembra rendersi conto della profondità della crisi del sistema di istruzione e formazione. Rappresenta il livello di coscienza medio del Paese. Ma anche la maggioranza gli intellettuali sta a guardare, come le stelle di Cronin, o abbaia alla luna. E poiché qui si condividono per intero le ragioni della denuncia, di cui sopra, vogliamo abbozzare qualche proposta-passo avanti.

Sono quattro i nuclei tematici, tra loro collegati per intersezione, sui quali è necessario confrontarsi. Sono anche i quattro pilastri del sistema di istruzione.

Il primo: il sapere di civiltà e il curriculum nazionale

Che cosa devono avere nello zaino i ragazzi che escono dalla scuola secondaria di secondo grado?

La Lingua prima, il Latino e un paio di lingue seconde; la Storia economica, sociale, culturale, intellettuale, filosofica dell’Italia, nel contesto europeo e mondiale; l’Economia e il Diritto; la Matematica; le Scienze. Come trasformare questo sapere in Programmi effettivi? Occorre costruire un’Authority del Curriculum, che non si riduca alla solita Commissione ministeriale senza né arte né parte né futuro, che aggiorni periodicamente – ogni 10 anni? – il Curriculum-Programmi. Lì dentro devono stare i disciplinaristi. Non servono Pedagogisti, Sociologi dell’Istruzione, Psicologi.

“Curriculum nazionale” significa che a tutti i ragazzi che entrano nel sistema scolastico deve essere dato accesso all’intero “sapere di civiltà”, quali che siano gli indirizzi di studio. Perché la conoscenza del pensiero filosofico e scientifico deve essere riservata solo ai sei tipi di Liceo? E perché Diritto ed Economia sono riservati ai Tecnici e al Liceo economico-sociale? E il Latino? Non dobbiamo preparare dei filologi, ma solo ragazzi che parlino un Italiano ricco. E la Letteratura? Se si abbandona il metodo storiografico di Francesco De Sanctis del 1870, si possono by-passare le Opere minori dell’Ariosto o del Leopardi, ma si deve leggere direttamente “L’Orlando furioso” o “L’infinito”. Lungo e oltre centocinquant’anni è stato costruito il paradigma pedagogico-didattico del Liceo classico come una “turris eburnea”, unica depositaria del “sapere ultimo”. Va rovesciato. Tutti hanno diritto/dovere di accedere al curriculum nazionale. Tocca al sistema costruire gli accessi personalizzati al patrimonio culturale e civile del Paese.

Gli ordinamenti

Come ed entro quando un ragazzo deve riempire lo zaino del “sapere di civiltà”? Intanto, occorre “liberare” i ragazzi a 17 anni, se entrano nel sistema a 5 anni, o 18 anni, se entrano a 6. E poi: due o tre cicli? I mutamenti dell’età evolutiva hanno fortemente anticipato e accelerato lo sviluppo puberale. L’età della scuola media non esiste più. Dunque: due cicli: il primo di 6/7 anni, il secondo di 5 anni. È necessario che si consolidi un tronco comune di sapere di civiltà accessibile e a tutti, dal quale possono partire rami diversi, a seconda delle vocazioni e delle scelte di ciascuno, senza irrigidire i percorsi separati dei Licei, dei Tecnici e dei Professionali, senza possibilità di passaggi. La via verso le professioni, le specializzazioni, il mercato del lavoro deve essere a lunghezza variabile.

Gli assetti istituzionali del sistema scolastico

Per rispondere alle necessità e alle domande del proprio ambiente socio-economico ogni istituto ha bisogno di assumere direttamente i docenti. Come si sa da molti decenni, il precariato è pura creazione endogena dell’amministrazione scolastica: nasce dall’impossibilità burocratica di garantire in tempo reale il personale attraverso concorsi, che arrivano sempre troppo tardi, sempre mastodontici e spesso a selezione avversa. L’assunzione si deve fare scuola per scuola… L’obiezione più nota: avremo l’anarchia e il clientelismo più sfacciato! Risposta: esattamente ciò che abbiamo già! Dipende dall’organo che assume: il preside da solo, un organismo composito?

Se, accanto all’Authority del curriculum, fosse creata un’Authority per la valutazione delle scuole – il modello è l’OFSTED inglese – una scuola che assumesse personale inadeguato non avrebbe vita lunga. Verrebbe chiusa.10 Settembre 2024

Un simile assetto complessivo, fondato sulle autonomie scolastiche, rende inutile il Ministero-Leviatano, pletorico e inefficiente, di cui disponiamo oggi, con le sue ramificazioni territoriali – USR e Provveditorati. Nel settore dell’istruzione è stato adottato lo stesso modello del Ministero dell’interno. D’altronde fino al 1848 nel Regno di Sardegna l’Istruzione dipendeva da quel Ministero. Il Ministero dell’Istruzione, separatosi con Boncompagni dal Ministero dell’Interno, ha conservato lo stesso schema napoleonico-francese.

Il valore legale del titolo di studio è dannoso, perché fornisce alla scuola e alle famiglie l’alibi per non valutare realmente ciò che ciascun ragazzo si ritrova effettivamente nello zaino. È la foglia di fico, che nel nome dell’egualitarismo impedisce di vedere le diseguaglianze reali.

La questione del personale scolastico

Qui ci limitiamo a riassumere ipotesi di riforma, già proposte altre volte. Il docente non nasce dopo la laurea, come prevede la Legge 107 del 2015, frequentando corsi universitari di formazione. Occorre costruire, a partire dagli ultimi due dei cinque anni universitari, il percorso finalizzato all’insegnamento. Ciò richiede la creazione di una Scuola nazionale degli insegnanti con proprie diramazioni nelle Università e nelle scuole. Chi vuole insegnare deve fare, negli ultimi due anni di studi universitari, quattro quadrimestri di apprendistato in altrettante scuole. La laurea magistrale-abilitante all’insegnamento sarà data per una quota dall’Università – che garantisce il possesso dei saperi – e per l’altra quota dalla Scuola nazionale, sulla base dei giudizi espressi delle scuole sugli apprendisti-insegnanti circa la loro capacità di trasmettere saperi e di stare con i ragazzi.

L’attuale sistema di formazione dei docenti, impiantato dalle varie Scuole di formazione universitarie, tutto centrato su Pedagogie e Psicologie di vario genere, non è in grado di accertare le capacità pedagogico-didattiche. Una volta assunto direttamente da una scuola, il docente deve fare due anni di tirocinio. Al termine del quale viene assunto. E può essere licenziato, qualora non si riveli capace. Deve avere una carriera? Ovvio! Ma, secondo i sindacati no, perché i docenti sono tutti eguali, differiscono solo per anzianità.

Questi i nuclei tematici. È necessario un passo in avanti. Lamentare non basta!