di Mario Rodriguez
Il coro canta: «Partiam, partiam, partiamo» ma tutti restano fermi sul palco. È questa immagine che mi viene in mente se penso a come, nel dibattito politico italiano, da mesi, se non da anni, anche se sempre più intensamente nelle ultime settimane, si senta ripetere che c’è bisogno dei partiti. Mancano i partiti politici! Ripetono oggi coloro che una trentina di anni fa teorizzavano che bisognasse «affamare la bestia» cioè tagliare del tutto i finanziamenti pubblici ai partiti. Però tutti quelli che oggi lamentano la loro assenza non riescono a fare un passo avanti e dire cosa fare e come. Non vanno altre la generica affermazione che forse i partiti vanno in qualche modo sostenuti dallo Stato.
Proprio alcuni di quelli più impegnati nella costruzione di un nuovo partito, penso a Carlo Calenda e Matteo Renzi, o alla rifondazione di un partito, il Partito democratico (forse l’unico partito strutturato ancora esistente oggi in Italia) sembrano più interessati a fare una nuova proposta elettorale piuttosto che una nuova proposta di organizzazione. Vedremo se i congressi che sono alle porte per Italia viva e Azione smentiranno questa mia preoccupazione.
Anche le più recenti riflessioni di Renzi sul Centro e sulle elezioni europee del 2024, a poche settimane dal congresso (non si capisce se fondativo di Italia viva o di un altro soggetto politico) fanno pensare più a una nuova offerta sul mercato elettorale piuttosto che alla proposta di una nuova presenza organizzata nel Paese.
Allora c’è da porsi una domanda: ma tra offerta elettorale e presenza organizzata nel paese c’è una qualche relazione? E qual è? Insomma, c’è bisogno di un’organizzazione on the ground per poter contribuire alla formazione di una visione condivisa delle cose, diffusa e radicata nella società? Meno esposta alla fibrillazione che stiamo vivendo con l’avvento della politica dominata dal sistema mediatico?
Mi chiedo se il bisogno dei partiti sia connesso al fatto che essi contribuiscono alla costruzione di un sentire diffuso stabilizzato nella società che permettendo una certa continuità di leadership contribuisce a dare stabilità al sistema politico.
Si torna alla domanda di fondo. Nella nostra società come si formano le opinioni, i punti di vista, le visioni condivise e stabili che permettono il consolidamento anche elettorale di una forza politica? Basta usare gli strumenti di comunicazione? Basta un leader che parla e occupa i social o c’è bisogno di una rete di interazioni personali diffuse sul terreno che metabolizzando il messaggio del leader, permetta il consolidamento di questa visione e trasformi i messaggi in una esperienza di vita, una cultura politica, un senso che motiva i comportamenti? Cioè, c’è bisogno davvero di una forma organizzativa della azione politica o basta interagire con il sistema dei media a cominciare dai social?
Certo vanno anche considerate tutte le difficoltà e la fatica (i rischi) che una forma organizzativa di questo tipo implica visto che organizzare migliaia di persone significa formare, selezionare, dirigere, controllare. Garantire una certa coerenza. Presidiare i punti critici che creano visibilità negativa.
Questa è la domanda che mi pongo da tempo, quando un leader di provata intelligenza politica come Renzi – nonostante la esperienza scout – sembra dedicare la propria attenzione soprattutto ai follower ripetitori piuttosto che a follower interpreti, quelli che permettono di costruire un tessuto di interazioni personali diffuso fatto di procedure e precise scadenze organizzative. Non è in discussione il ruolo del leader in quanto tale. Ciò che deve essere precisato è lo stile di questa leadership, la sua capacità di ampliare e includere e non strozzare i gruppi dirigenti.
A mio parere è necessario partire dal riconoscere i limiti della idea che per costruire una visione condivisa sia sufficiente un leader che parla e una serie di follower che ripetono. Bisogna invece costruire un’organizzazione, una rete di relazioni personali, che sia aderente a tutti i livelli nei quali vivono le istituzioni della rappresentanza. Il nostro è il tempo delle reti non delle piramidi.
Anche perché la funzione essenziale che legittima i partiti è quella di selezionare il personale che diventerà provvisoriamente responsabile delle amministrazioni in cui è articolato lo Stato democratico. Perciò, affinché questa non sia una competizione finalizzata esclusivamente all’acquisizione del potere è necessario che a essa partecipino persone selezionate perché condividono una visione e degli obiettivi politici.
Se c’è bisogno quindi dei partiti per consolidare degli elettorati e non viceversa degli elettorati per consolidare dei partiti è necessario anche riconoscere che esiste nella nostra società una parte certamente minoritaria ma considerevole di persone interessate a impegnarsi in politica per dare senso alla propria vita. Esiste una quota di cittadini desiderosi di attivarsi politicamente. Anzi la possibilità di interagire ne ha aumentato il numero e la qualità. E queste persone rappresentano comunque una risorsa per la politica e per la qualità della democrazia. Ben sapendo che tra loro ci sono anche quelli animati da motivazioni discutibili.
A queste persone bisogna offrire la possibilità di farlo non solo, come accade oggi, inserendosi in un inner circle che distribuisce incarichi e candidature ma diventando attivi in ben definite procedure organizzative. E qui la riflessione sui partiti si lega a quella sulle leggi elettorali e sugli assetti istituzionali. Leggi elettorali e forma dei partiti vanno considerati insieme. Ma non è questa la sede per approfondire.
Inoltre, nella nostra società secolarizzata, de-ideologizzata, plasmata dal sistema dei media si è rafforzata una domanda importante che non sembra ottenere sufficiente attenzione: quella di “contare individualmente” nelle decisioni che intercettano la propria vita. Contare in quanto singoli non tanto tramite l’adesione a un partito, contare non solo nel momento elettorale ma anche nella selezione delle candidature e dei programmi che è il momento centrale delle democrazie occidentali basate sulla rappresentanza.
Il fulcro della cosiddetta forma partito va quindi ancorato al processo elettorale, la funzione essenziale delle democrazie rappresentative. I cittadini che hanno desiderio di “contare” vanno fatti diventare gli organizzatori del torneo della democrazia, il punto di contatto tra interno ed esterno del sistema, tra rappresentanti e rappresentati.
Quindi, le organizzazioni politiche dovrebbero avere come proprio output principale quello di far partecipare attivamente i propri elettori a reclutare, selezionare i propri candidati a rappresentare, aggregare interessi e trasformarli in politiche pubbliche, coordinare i comportamenti dei vari rappresentanti e soprattutto verificarne l’operato. La sfida è proprio questa: come organizzare questa partecipazione senza temere di trasformarsi in comitati elettorali.
Fonte: Liberta’ Eguale