Per capirlo, basti vedere un precedente. Nel 2023 il Papa incontrò, con una formula simile a quella usata ieri, un gruppo di ragazzi convocati da Disney+. Chiese Clelia, una di loro, se sapesse il capo della Chiesa cattolica cosa fosse una persona non binaria. Bergoglio rispose senza incertezze con un netto «sì», e lei non se l’aspettava. “Bene, io sono Clelia, sono non binaria” replicò comunque, “e sono anche cristiana. A volte – continua Clelia – è molto impegnativo per me vivere entrambe le cose contemporaneamente. E volevo chiederle se vede un po’ di spazio all’interno della Chiesa per le persone trans, non binarie o Lgbt in generale”. E qui Bergoglio la sorpresa di nuovo. “Siamo tutti figli di Dio. Dio non rifiuta nessuno, Dio è padre. E non ho il diritto di cacciare nessuno dalla Chiesa. Il mio compiuto è di accogliere tutto. La Chiesa non può chiudere le porte a nessuno. Nessuno”, le fece, e lei annuì.
Oggi la scena si è replicata più meno all’incontrario, come nei filmini in superotto che si proiettavano in casa e alla fine andavano riavvolti. La pellicola viene riposta nella scatola, non si può far altro che attendere la prossima occasione. Chissà quando.
Solo che i social all’epoca di Lambertini non esistevano (Benedetto XIV, 1740-1758) e questo fa la differenza, perché un conto è una pinzochera all’ombra di una chiesa romana, un altro un ragazzetto filippino con cui sei collegato con Zoom o Teams o chissà quale altra diavoleria. E ieri il giovanotto filippino, che con Papa Francesco interloquiva in streaming, lo ha rimbrottato indossando la sciarpa arcobaleno d’ordinanza: “Per favore smetta di usare un linguaggio offensivo nei confronti della comunità Lgbt, provoca dolore”.
Segno che il globale ed il locale non esistono più nella loro differenza, ma tutto si tiene, nulla si tace, ogni cosa si risà. Soprattutto la frase del ragazzo indica che – nonostante gesti eclatanti e parole ostentate – la possibile grande intesa di questo pontificato con il mondo gay è ormai tramontata. Non c’è più nulla da fare: tradizionalisti e dubbiosi si rilassino. Francesco sta alla comunità gay più o meno come Benedetto XVI al mondo islamico dopo il discorso di Ratisbona.
Sembra che a Papa Lambertini ogni tanto ne scappasse una. Niente di grave, ma quanto basta per far piegare all’ingiù gli angoli della bocca a devoti e baciapile. Glielo fecero notare, lui proclamo più o meno ex cathedra che non più di parolacce si trattava, ma interloquire colorito. Roma locuta, causa soluta. Oggi si direbbe: sdoganate.
Quello che riuscì a Lambertini non riesce alla Chiesa di oggi, che nello stare al passo con i tempi qualcosa pure lo ha sdoganato, ma con minor effetto. Capita – absit iniura verbis – di sentire porporati che in una conferenza stampa parlano di vescovi quasi colti dall’urgenza di nominare qualche nome invano, di fronte all’astrusità delle regole vigenti in materia di apparizioni sacre. Del resto queste sono più o meno “un casino” e qualcuno finisce per perdere le staffe, ma in modo molto esplicito. Attenzione a non contestualizzare.
Francesco, da parte sua, ha superato tutti quanti con il suo dire e ripetere una parola che inizia per F e prosegue in Rociaggine. Due volte in un mese l’ha detta, e se la prima può essergli scappata la seconda proprio no.(AGI)