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Pace fiscale: è davvero possibile?

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di Mattia Moretta

La campagna elettorale antecedente le elezioni politiche 2022 ha visto l’emergere di numerosi temi cari alla sensibilità degli elettori. Tra le varie proposte di riforme avanzate dai partiti, è emersa anche una revisione dell’attuale sistema fiscale del nostro Paese. In particolar modo, i partiti di centrodestra sono sempre stati favorevoli ad una pace fiscale, intesa come un “doveroso aiuto a milioni di italiani”. Ma quali tasse toccherebbe? È davvero possibile?
Cosa si intende per pace fiscale
La pace fiscale è uno strumento normativo presente nel decreto legge n. 119/2018. Questo comprende delle misure che consentono ai contribuenti di regolarizzare la propria posizione – debitoria – con il Fisco, versando de facto le imposte dovute, senza applicare sanzioni e/o interessi. Fisco, quindi, inteso come l’insieme delle strutture statali che impongono e riscuotono tasse e imposte. Il leader della Lega Matteo Salvini, in un intervento appena antecedente le ultime politiche, dichiarava come queste somme non verrebbero mai riscosse dallo Stato. Questo per motivi temporali – spesso sono debiti di decenni fa – o quantitativi – talvolta sanzioni e interessi potrebbero aver “gonfiato” il valore del debito nei confronti dell’Erario. Sosteneva, sempre Salvini, di aver dato modo allo Stato di incassare miliardi di euro, “liberando” 15 milioni di cittadini Italiani dai debiti col Fisco. Ma in cosa consiste la proposta fatta dalla politica?

La pace fiscale in campagna elettorale
In campagna elettorale, la proposta del centrodestra circa una pace fiscale riguardava due principali linee di intervento: una nuova “rottamazione” delle cartelle esattoriali ed un ulteriore “saldo e stralcio”. In sostanza, saldare le posizioni di imprese ed individui rivedendo gli ammontari dovuti nei confronti dell’Erario. La differenza tra i due provvedimenti, tuttavia, sta nel fatto che attraverso la “rottamazione” si paga interamente quanto dovuto, ma al netto di eventuali sanzioni/interessi, che vengono quindi depurati. Con “saldo e stralcio”, invece, il contribuente è invitato a pagare solo una percentuale di quanto dovuto, di fatto “stralciando” la propria posizione debitoria con il Fisco.

Secondo la Corte dei Conti, dal 2000 al 2021 l’Erario ha accumulato crediti pendenti per circa 1099 miliardi di euro, sanzioni incluse. Stando ai dati del 2022 – quando l’ammontare era di 100 miliardi di euro in meno -, la Lega sosteneva di rendere 545 miliardi di questo credito integralmente riscuotibile – 557 miliardi considerando il 2021. Questo numero non è una stima: è uguale infatti al totale dei crediti residui al netto di quelli considerati inesigibili a causa di una probabilità di riscossione molto bassa o nulla – ad esempio relativi a soggetti deceduti.

Fratelli d’Italia, similmente, proponeva una misura maggiormente dettagliata circa la modalità di saldo. La proposta, infatti, recitava un ‘saldo e stralcio’ fino a 3mila euro per le persone in difficoltà – termine mai chiarito dal partito; per importi superiori, pagamento di quanto dovuto più una sanzione del 5% sostitutiva di eventuali altre sanzioni/interessi, con rateizzazione automatica in 10 anni.

Non sarebbe la prima pace fiscale nel nostro Paese. Dall’Unità d’Italia ad oggi, infatti, sono stati ben 82 gli interventi in questa direzione. Di questi, va sottolineato, 21 hanno avuto luogo prima del 1900, mentre ben 35 provvedimenti sono stati attuati durante gli anni del fascismo e della Prima repubblica. Al seguito, 25 interventi di pace fiscale hanno visto la luce dalla crisi energetica del 1973 fino ai giorni nostri. Una media, quindi, di circa una pace fiscale ogni due anni. Questo sembrerebbe illustrare un fenomeno strutturale, quello della pace fiscale, che accomuna i governi del Paese da sempre, evidenziando quindi la presenza continua di tributi non riscossi, contribuenti non paganti, e inefficienze nel sistema fiscale italiano.
La fattibilità economica e sociale della pace fiscale
Intuitivamente, la pace fiscale rappresenta un provvedimento decisamente sensibile per le casse dello Stato. Si tratta di ridurre drasticamente un ammontare, di fatto, dovuto. È doveroso quindi analizzare, a tal proposito, la fattibilità economica e sociale di uno strumento di questa portata.

Innanzitutto, è fondamentale riconoscere che non tutti i crediti tributari vantano la stessa probabilità di riscossione. Per vari motivi – importo del debito, anzianità del debito etc. -, è più probabile riscuotere alcuni debiti rispetto ad altri. A tal proposito, il Fondo monetario internazionale è intervenuto sostenendo che “la probabilità di riscossione dei mancati versamenti peggiora in modo esponenziale dopo sei mesi”. In Italia, il 70% dei debiti da riscuotere fa riferimento al periodo 2000-2015: in altre parole, importi difficilissimi da riscuotere. Sempre il Fmi, nel 2015 ha stimato in 100 miliardi di euro l’ammontare effettivamente recuperabile dall’Erario.

Va inoltre ammesso che, anche qualora tutti i contribuenti pendenti decidessero di partecipare a questo provvedimento – per cui sarebbe necessario porre in essere agevolazioni rilevanti -, l’ammontare eventualmente recuperato non sarà mai uguale ai sopra menzionati 545 miliardi. Quella cifra, infatti, sarebbe ridotta in misura percentuale di quanto dovuto e depurata di sanzioni ed interessi. L’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università Cattolica ha stimato in 21 miliardi di euro, potenzialmente 30, l’ammontare realisticamente riscuotibile dall’Erario.

La pace fiscale riguarda diversi debiti posti in essere: tributi, multe stradali, contributi non versati, IVA. Tuttavia, sebbene la sua natura sia di risolvere posizioni debitorie esistenti, è intuibile pensare ad alcuni vincoli costituzionali circa la sua fattibilità. Non a caso, la Corte Costituzionale è intervenuta a marzo 2022 con una sentenza a riguardo. Questa ha bocciato la pace fiscale, provvedimento ritenuto contrario al dovere tributario, dovere ritenuto dalla stessa Corte inderogabile e di solidarietà. Pertanto, la Corte invitava ad attuare una riforma della riscossione che abolisse ogni possibilità di future “paci fiscali”, che non comprendesse quindi interventi di “rottamazione” o di “saldo e stralcio”, in quanto “tali da recare pregiudizio al sistema dei diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione”.

La pace fiscale in Italia e nel mondo
Al di là dell’esperienza nazionale, esistono tentativi di pace fiscale su territori comunali ed esteri. Ad esempio, il Comune di Ancona ha adottato, questa estate, lo stralcio di tutte le cartelle esattoriali per multe stradali e tasse comunali non pagate a favore di 1430 contribuenti. Nel dettaglio, il provvedimento ha riguardato crediti inferiori ai 1000 euro relativi agli anni 2000-2015, quindi di fatto difficilmente esigibili. Questa misura ha recuperato un ammontare pari a circa 438mila euro in favore delle casse comunali.

All’estero, poi, le misure sono spesso complementari a quelle sopra citate. Nel Regno Unito, ad esempio, i contribuenti che evadono con redditi custoditi all’estero ricevono uno sconto sulla multa da pagare, non appena dichiarato tale reddito. In Germania, diversamente, è esistita la cosiddetta collaborazione volontaria. All’inizio del 2000, i titolari di conti in Svizzera non denunciati hanno pagato solo il 35% delle tasse dovute riportando le loro risorse in Germania – operazione che, tuttavia, rese poco. In Francia, infine, c’è stato un provvedimento simile a quello tedesco, con una penale del 30%, che ha maturato 8 miliardi di euro – a fronte di un rientro di capitali per circa 32 miliardi di euro.

Il futuro della pace fiscale
Secondo il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, dell’ammontare di crediti nominalmente dovuti verso l’Erario, solo una piccola parte – pari a circa 81 miliardi di euro – risulta effettivamente suscettibile di azione riscossiva. Tutti gli altri, come sopra accennato, fanno spesso riferimento a contribuenti deceduti, falliti, non più reperibili – residenti altrove – o nullatenenti – quindi impossibili da aggredire. Spesso, quindi, queste posizioni non sono altro che un frutto della resilienza del sistema di gestione delle posizioni creditizie non più esigibili. De facto, quindi, non rappresentano – in modo veritiero – quanto effettivamente dovuto e riscuotibile dallo Stato.

È pertanto necessario agire in una direzione chiara, rappresentata da una semplificazione del sistema fiscale, che non solo agevoli il rapporto del cittadino con l’Erario, ma che invero riveda anche le responsabilità dell’ente addetto ai lavori, l’Agenzia delle Entrate. Questo, tuttavia, senza incorrere nel rischio del cosiddetto “moral hazard”, ovvero quel fenomeno secondo cui gli evasori usuali possano continuare a non pagare le tasse visti i frequenti interventi a loro tutela. Non pagare, quindi, nell’attesa di una ulteriore “sanatoria”. Una riforma, pertanto, non deve scardinare l’art.53 della Costituzione, secondo cui tutti, in ragione della propria capacità contributiva, sono chiamati a pagare le tasse. Permane infatti il il dovere di essere cittadini attivi e consapevoli nella gestione della cosa pubblica.

Fonte: Orizzonti politici


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