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Ora anche il calcio ha la sua Brexit

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AGI – Ha un bell’indignarsi Boris Johnson, di fronte alla secessione dal calcio continentale dei Dodici apostoli del pallone scissionista, ma questa roba è anche roba sua. Quella che si è aperta non è e non sarà la seconda guerra del calcio: sarà molto peggio.

Il primo conflitto lo descrisse Kapuscinski e fu frutto di passione – esagerata, cieca, obnubilante – ma anche di senso di appartenenza, orgoglio onore nonchè hidalgissimo sentire di picaresca povertà. Nossignore, questa non è la Guerra del Football che contrappose Salvador a Honduras nel ‘69.

Del calcio questa è la Brexit, e proprio perciò è più subdola e pericolosa: da una guerra combattuta a viso aperto esci con un trattato di pace, o almeno un armistizio. Col tempo puoi anche capire. Francesi e tedeschi, quando qualcuno ebbe la grande idea di inventarsi la Coppa dei Campioni, fecero proprio così: divisi dalla storia, uniti a tifarsi gli uni contro gli altri in uno stadio.

Non a caso oggi fanno causa comune contro il progetto della superlega dei signori e delle signore.

Ma da una Brexit, che è separazione non consensuale di chi si è amato ma poi uno dei due ha deciso che si è stufato – nulla di più, nulla di meno – non ci si riprende più. Ed il colpo scende giù nella carne viva: più lento quindi più doloroso e più profondo. La ferita non si rimargina, perché inferta da un kriss. La sciabola che usavano ad Austerlitz come a Sedan non era altrettanto letale.

La quadriga di Ben Hur

E dire che tutto era cominciato pensando di ottenere il contrario. Correva l’anno 1955: prima timida distensione con il vertice di Ginevra e restituzione alla Germania degli ultimi prigionieri di guerra ancora tenuti nella Siberia sovietica. Coppa dei Campioni con squadre dalle due parti della Cortina di Ferro, come a dire che prima o poi quella robaccia sarebbe caduta a costo d’aspettare ancora trentacinque anni.  

Piacque, la formula, talmente tanto che dovettero inventarsi anche la Coppa delle Fiere (intese come fiere industriali, il che la dice lunga su chi fosse il target del torneo) e la Coppa delle Coppe. Un trittico che, insomma, metteva insieme spirito continentale, spiriti nazionali e una sublimata lotta di classe operaia.

Che siano una cosa sola: ecco l’Europa. Il Muro aveva il destino segnato, e chi vaticinò il suo crollo fu Sandro Mazzola con una doppietta sul prato di Vienna nel ‘64.

Se avranno ragione i separatisti i vantaggi per loro saranno indubbi. L’Inter non si vedrà più di fronte il Borussia Moenchengladbach con le sue lattine e il Milan potrà finalmente dimenticare quel disonorevole successo che fu la Mitropa Cup del 1982.

Per la Juventus sarà meno facile: contro il Real ha perso la finale di Champions a Cardiff nel 2017, contro il Barcellona quella di Berlino del 2015. Roba fresca.

Dice: un buon incasso a fine stagione e passa tutto, anche un 4-1 con il Real. Sarà. Ma Jannacci cantava “quelli che quando perdono il Milan e l’Inter dicono che tanto è solo un gioco ma poi arrivano a casa e picchiano i figli”. Siamo contenti per loro, per i figli, ma da che mondo è mondo stare insieme, assiepati su una gradinata, è aristotelicamente catartico e costruisce la polis, o per lo meno l’Hellas Verona; qui il sospetto è che le squadre possano diventare come i cavalli della quadriga di Ben Hur: al soldo di uno sceicco.

Non stupiamoci di quanto sta avvenendo: tutto è iniziato fin dal primo giorno, che poi era il lontano 1860. Esisteva il folk football: una cosa più violenta di quello che oggi è il calcio gaelico. Ma era anche selvaggiamente divertente: le classi operaie della prima Rivoluzione Industriale uscivano di miniera per correre dietro al pallone.

Arrivarono allora i nobili e gli aristocratici, i gentlemen e i padroni delle miniere che uscivano da Oxford. Dissero che così non si poteva continuare, e riscrissero le regole del gioco determinandone l’impostazione. Sorse così il dribbling game, che stava al suo parente e predecessore come una giostra torneata da cavalieri dall’elmo piumato può stare alla gazzarra plebea dove anche un Fra’ Tuck le dà di bastone. Più lindo, più cortese; ma mica per questo più autentico e meno sporco.

Sono in fondo le due anime che ancora adesso si contrappongono, magari il passing game operaio ribattezzato Tiki taka e il dribbling game sublimato dalle gambe di Ronaldo. L’Aberdeen di Ferguson o il Leicester di Ranieri contro il Chelsea o quell’ex squadra del ceto medio ora gentrificato che è l’Arsenal. Ma siamo sempre lì: divertimento comunitario opposto a narcisismo elitariamente snob.

Niente di più british, insomma: meno siamo meglio stiamo. Che poi è la filosofia della Brexit.

Boris Johnson, visto come stanno le cose, non si lamenti.

Source: agi


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