AGI – Clementina Cantoni guarda “con orrore” al ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, e considera che “non aiutare gli afghani ora, nel momento del loro più grande bisogno, sarebbe il tradimento più vergognoso”. Nel 2005, l’esperta in diritto internazionale umanitario aveva poco più di 30 anni quando fu rapita a Kabul: lavorava già da qualche anno per l’Ong Care International. Durante i 24 giorni della sua prigionia, ricorda in una testimonianza inviata all’AGI, le donne afghane alle quali aveva dedicato il suo lavoro negli anni precedenti, in molti casi vedove in povertà e senza istruzione, manifestarono per chiedere il suo rilascio.
“Sorprendentemente – osserva – queste donne scesero in strada, alcune parlarono persino con i media, chiedendo il mio rilascio. Vedere le donne, che erano state messe a tacere e i cui diritti fondamentali erano stati calpestati per così tanto tempo, difendere una sola persona, privilegiata in quanto operatrice umanitaria, è stata per me un’incredibile lezione di umiltà e resta come testimonianza di tutte le donne afghane che hanno sacrificato tanto e che ora devono affrontare un futuro così cupo e incerto”.
“Come molti ex colleghi e amici che hanno lavorato in Afghanistan – si legge ancora nella testimonianza all’Agi della giurista, che dopo la drammatica esperienza afghana ha continuato a vivere e lavorare all’estero nel settore della cooperazione – ho guardato con orrore i talebani riappropriarsi del Paese, cancellando di fatto i progressi duramente ottenuti negli ultimi 20 anni”.
“Ho avuto la fortuna di aver vissuto lì tra il 2002 e il 2005, un periodo iniziato con grande ottimismo: lo straordinario spettacolo delle ragazze che andavano a scuola ha ispirato il mio giovane e piuttosto ingenuo cuore con la convinzione che tutto fosse possibile e il futuro di quel Paese magico fosse luminoso. Ho lavorato con alcune delle donne più diseredate ed emarginate a Kabul: oltre 10.000 vedove, che dipendevano dalla distribuzione del cibo finanziata da un’Ong per soddisfare i loro bisogni primari. Sono stata orgogliosa dei progressi graduali che abbiamo ottenuto durante quei tre anni: fornire competenze di base di calcolo e alfabetizzazione, sviluppare opportunità generatrici di reddito e persino trovare un lavoro a lungo termine, consentendo ad alcune di queste donne di diventare autosufficienti, e ai loro figli di frequentare la scuola”.
“È stato stimolante vedere queste donne uscire gradualmente dall’ombra del regime talebano che aveva negato loro il diritto di lavorare, studiare o uscire di casa senza un accompagnatore – continua la testimonianza della donna – Alcune erano più audaci e pronte a fare il grande passo quasi immediatamente, altre erano profondamente traumatizzate e hanno avuto bisogno di più tempo per adattarsi a questa nuova libertà trovata. Tutte, senza eccezioni, erano straordinariamente coraggiose”.
Ricordando l’impegno delle donne quando fu rapita a Kabul, Clementina Cantoni osserva ancora: “È per questo motivo che oggi provo un profondo senso di fallimento personale. Come molti dei miei ex colleghi attualmente inondati di richieste di aiuto dai nostri amici afghani per lasciare il paese, stiamo facendo ciò che possiamo ma siamo per lo più impotenti a meno che i governi non aumentino urgentemente l’accesso ai visti umanitari per tutti gli afghani vulnerabili e a rischio, in particolare donne e ragazze”.
Cantoni aveva 32 anni quando fu rapita a Kabul la sera del 16 maggio 2005, per essere poi rilasciata il successivo 9 giugno. Una settimana dopo sarebbe stata ricevuta al Quirinale dall’allora capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi; secondo le indiscrezioni circolate all’epoca, per ottenere la sua liberazione il governo afghano, all’epoca guidato da Hamid Karzai, aveva liberato 4 persone che si trovavano in carcere.
Source: agi