La crisi finanziaria non ha come conseguenza alcuno sconto di pena né può essere usato come scusa per il mancato versamento dell’Iva. Non è infatti applicabile l’istituto della continuazione all’imprenditore che, a causa delle difficoltà economiche, non versa il tributo per diversi periodi d’imposta. Lo ha sancito la Cassazione che, con la sentenza n. 35912 del 3 settembre 2015, ha confermato due decreti penali di condanna a carico di un contribuente che non aveva pagato l’Iva nel 2006 e 2007 a causa della grave crisi finanziaria in cui versava la società. In altre parole, per la prima sezione penale, in questi casi la crisi economica non ha come conseguenza l’applicabilità dell’istituto della continuazione al perdurante mancato versamento dell’Iva. E di conseguenza non c’è una diminuzione della pena. Sul punto gli Ermellini hanno infatti chiarito che per la configurabilità della continuazione è necessaria un’unica complessa deliberazione preventiva, definita nei suoi dati essenziali, alla quale segua, per ogni singola azione, una deliberazione specifica, mentre deve escludersi che un programma solo generico di attività delinquenziale da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità o un mero sistema di vita siano idonei a far riconoscere il rapporto descritto nell’art. 81 cod. pen., rilevando la generica deliberazione di reiterare comportamenti penalmente illeciti soltanto, in quanto espressiva di un’attitudine soggettiva a violare la legge, a fini del tutto diversi -e negativi per il reo- come la recidiva e l’abitualità criminosa.