Type to search

Nel 1924 le prime Olimpiade invernali

Share

 

Le prime Olimpiadi invernali nacquero ufficialmente nel 1924, ma erano state concepite nel 1921, nel corso di una riunione del CIO a Losanna. Fu la grande vittoria di de Coubertin, contro la tenace opposizione dei paesi nordici, soprattutto i norvegesi. L’annuncio dei nuovi Giochi, della neve e del ghiaccio, fu accolto con soddisfazione soltanto da pochi: suscitò qualche entusiasmo solo al Nord, sulle Alpi e nell’America Settentrionale, perché i paesi di neve ‘sfruttata’, o sportivamente usata, erano ancora pochi.

Le Olimpiadi estive avevano precedenti addirittura di duemila anni, gli sport del freddo erano elitari e senza radici, per lo meno remote. Basti dire che la Federazioni italiana dello sci era appena nata. L’avvenire tuttavia c’era, nell’idea e nelle convinzioni delle classi dirigenti del mondo sportivo sia mondiale sia italiano, anche se i nostri sport dominanti erano il calcio, all’epoca ancora chiamato ‘football’, il ciclismo, la lotta, la ginnastica e pochi altri. Anche i giornali furono piuttosto cauti, almeno i nostri: la presentazione dei Giochi e l’annuncio della loro apertura fu limitata a un articolo, apparso sulla Gazzetta dello Sport, dal titolo Olimpiade e niente altro. Nei sottotitoli invece si evidenziavano la temperatura, che era di -12°, e i ludi, salutati “in uno sfondo di atleti e neve su roccia”.

Erano presenti più di 250 campioni, rappresentativi di 16 nazioni, ma di nessuno veniva diffuso e pubblicizzato il nome, nemmeno degli azzurri, che però furono molto acclamati, perché gli spettatori italiani non erano pochi e i francesi si rivelarono amici. Alla sfilata e al rituale della cerimonia inaugurale il tricolore fu portato con orgoglio da Leonardo Bonzi, abile bobista, il più giovane degli atleti azzurri, peraltro rimasto poi senza un risultato perché il suo bob si ribaltò e non giunse al traguardo. Nei resoconti, un certo spazio fu dato agli sciatori e ai protagonisti del pattinaggio.

Era il 25 gennaio, la chiusura avvenne il 5 febbraio. Le discipline furono: sci nordico, pattinaggio, hockey e bob. Lo sci nordico comprendeva fondo, 18 km e 50 km (questa gara chiamata ufficialmente Gran fondo), salto, e combinata, la sfida più ambita. Il pattinaggio artistico era articolato in individuale per maschi e femmine, e a coppie, e quello di velocità su quattro distanze 500, 1500, 5000 e 10.000 m, soltanto maschili e mai più cambiate (adesso però competono anche le donne). Allora in più c’era la gran combinata, indubbiamente il risultato più ricercato. Sempre sul ghiaccio, c’era il torneo di hockey, sport ancora quasi non praticato in Italia, così come il pattinaggio. Vi era poi il bob, nel suo termine ufficiale di bobsleigh, e soltanto a quattro. Un equipaggio italiano si classificò sesto.

Oltre che al bob, gli italiani parteciparono soltanto alle gare di sci, con risultati onorevoli. Soprattutto nella 50 km, dove i quattro atleti italiani furono superati soltanto dai nordici, e nemmeno da tutti. Il migliore fu Enrico Colli, che arrivò nono mentre il fratello Vincenzo si piazzò undicesimo. Fu decimo, dietro Colli, Giuseppe Ghedina, divenuto poi fotografo dei monti e della neve noto in tutta Europa. Tutti e tre erano di Cortina d’Ampezzo, luogo che onorarono per molti anni ancora con titoli di campioni d’Italia e vittorie nella famosa ‘Valligiani’, una gara di sci di fondo a squadre, riservata agli atleti di Bormio e delle valli limitrofe, nata appunto in quei tempi. Quarto italiano in pista, e ottimo tredicesimo al traguardo, fu Benigno Ferrera, piemontese della Val Formazza. La Gran fondo era una sfida davvero massacrante, una lunga avventura senza respiro, su tracciati preparati in maniera bonaria e con sci non certo guizzanti e privi di scioline, allora forse quasi inesistenti e comunque non allestite secondo criteri scientifici. Lo testimoniano i tempi della prova: quello del vincitore, il norvegese Thorleif Haug, poi considerato fenomeno fuoriclasse, fu 3h44′32″, per Enrico Colli 4h10′50″ (oggi il vincitore di una 50 km può sfiorare le 2 ore). Gli italiani si distinsero anche nella 18 km (due erano le distanze classiche e tali rimasero fino agli anni Sessanta): dodicesimo Enrico Colli, tredicesimo e sedicesimo i valdostani Antonio Herin e Daniele Pelissier, e ventiduesimo Achille Bacher, anch’egli della Val Formazza. La prova di staffetta non era stata ancora inventata.

Due italiani parteciparono anche al salto speciale (esisteva anche quello della combinata nordica fondo-salto). Le misure di allora, veramente modeste, sfioravano i 50 m, importantissimi erano l’eleganza e lo stile. Medaglia d’oro e d’argento furono due norvegesi, i due italiani Luigi Faure e Mario Cavalla si piazzarono diciassettesimo e diciannovesimo con lunghezze di 34 e 32 m. Un azzurro, Pio Imboden, partecipò alla combinata fondo-salto. Disputò un’ottima corsa e gli esperti già lo vedevano fra il quinto e il decimo posto nella graduatoria finale, quando cadde malamente in un salto di prova, riportando problemi che gli impedirono di partecipare alla gara.

I norvegesi furono i dominatori del fondo e del salto, e certamente non si pentirono di aver dovuto arrendersi all’idea e alla determinazione di de Coubertin: delle 12 medaglie in palio ne guadagnarono 11, una sola andò a un finlandese, Tapani Niku, terzo nella 18 km. Il campione assoluto fu lo sciatore norvegese Thorleif Haug, atleta di media statura, pallido e biondiccio, sguardo timidamente sospettoso, dalla falcata armonica e di grande potenza muscolare nelle braccia. Guadagnò tre ori, nelle due prove di fondo e nella combinata, e salì anche sul podio, terzo, nel salto speciale (cinquant’anni dopo, tuttavia, nel 1974, si scoprì che c’era stato un errore di calcolo, e il bronzo fu consegnato all’atleta americano che effettivamente se lo era conquistato: Anders Haugen, che aveva ormai 83 anni). Al suo rientro in patria, Haug fu ricevuto e premiato dai reali. Dopo i trionfi olimpici, vinse in tante altre occasioni, e come è accaduto per il finlandese Paavo Nurmi, grande fuoriclasse del mezzofondo dell’atletica leggera, il suo paese natio, Drammen, gli dedicò un monumento.

Anche il pattinaggio, sport per i nordici più antico dello sci, espresse un atleta eccezionale, e con indubbia sorpresa per i norvegesi: fu l’imperturbabile e autoritario finlandese Clas Thunberg, al quale mancava appena un soffio di velocità. Guadagnò due ori, nei 1500 e nei 5000 m, un argento nei 10.000 m e un bronzo, a pari merito con il norvegese Roald Larsen, nei 500 m. Ebbe anche un’altra medaglia d’oro nella grande combinata delle quattro prove, graduatoria olimpica che oggi non esiste più.

Il pattinaggio artistico fu caratterizzato dalla speciale atmosfera creata dalla musica affascinante che accompagnava gli eleganti esercizi di donne e uomini, in uno scenario che sembrava esaltare il culto della giovinezza. È in questo contesto che fece la sua apparizione sulla scena la norvegese Sonja Henie, appena tredicenne, che si classificò ottava, ovverosia ultima ‒ pare per l’eccessiva severità dei giudici ‒ ma che successivamente sarebbe diventata regina incontrastata di questa disciplina. Vinse in tre successive edizioni dei Giochi e probabilmente avrebbe guadagnato anche il quarto oro nel 1940 se non ci fosse stata la guerra. I suoi titoli mondiali furono numerosissimi. A Chamonix le medaglie accontentarono austriaci, svizzeri, svedesi, statunitensi, inglesi, finlandesi e francesi.

Per quanto riguarda le residue discipline, l’hockey e il bob ‒ ‘residue’ di cronaca e non di importanza o spettacolarità ‒ nella prima si ripeté la classifica di quattro anni prima ad Anversa: vincitore il Canada, secondi gli Stati Uniti, con alcuni clamorosi risultati ‒ Canada-Svizzera 33-0, Canada-Cecoslovacchia 30-0, Canada-Svezia 22-0 ‒ e tanto stupore fra il pubblico. Il bob premiò invece l’equipaggio elvetico, con l’argento agli inglesi e il bronzo ai belgi.

Ci fu anche una sorta di anteprima del biathlon, con la gara di fondo e tiro per pattuglie militari ‘dimostrativa’. E la cosa stupì, perché῾ ancora non si era pensato di inserire la staffetta. Vi prese parte anche una squadra italiana, ma senza fortuna perché uno degli alpini ruppe uno sci. Sei furono i paesi partecipanti: vinse la Svizzera davanti a Finlandia e Francia, quarta la Cecoslovacchia, mentre oltre l’Italia abbandonò anche la Polonia.