L’imprenditore, secondo l’accusa, pianificava anche le attività economiche da avviare attraverso cui riciclare il denaro e coordinava la realizzazione di atti di disposizione patrimoniale finalizzati ad eludere l’applicazione di misure patrimoniali attraverso l’intestazione fittizia dei beni a lui riconducibili. Per tali condotte l’uomo è stato condannato in secondo grado alla pena di 19 anni di reclusione per il reato, tra gli altri, di associazione di stampo mafioso.
Alla luce delle evidenze, la Direzione Distrettuale Antimafia reggina ha delegato il G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economica Finanziaria di Reggio Calabria a svolgere un’apposita indagine a carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali. L’attività in rassegna, anche valorizzando le risultanze delle pregresse indagini, ha consentito di rilevare, attraverso una complessa e articolata attività di riscontro, il patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità dell’imprenditore, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla capacità reddituale manifestata. Al contempo, l’indagine patrimoniale ha permesso di ricostruire le complesse manovre elusive ed i meccanismi di mimetizzazione dell’effettiva titolarità di beni immobili, societari e finanziari, nella fittizia titolarità sia di prossimi congiunti che di terzi intestatari dell’imprenditore, ma di fatto nella sua disponibilità.
Con il provvedimento emesso, la sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro del patrimonio riconducibile all’imprenditore, costituito, nello specifico, dall’intero compendio aziendale di una ditta individuale e 2 società operanti nel settore edile, 10 immobili, di cui 3 terreni e 7 fabbricati ubicati nelle province di Reggio Calabria, Ancona e Pesaro Urbino, oltre a rapporti bancari, finanziari, assicurativi e relative disponibilità.
Beni per un valore di circa 5 milioni di euro sono stati sequestrati stamane dai militari del comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, con il supporto del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata – S.C.I.C.O. e dei comandi provinciali della Guardia di Finanza di Ancona e Pesaro-Urbino, coordinati dalla Procura della Repubblica. Gli inquirenti hanno eseguito in Calabria e nelle Marche un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale della città calabrese dello Stretto.
L’attività rientra nel contesto investigativo derivante dall’operazione “Eyphemos”, condotta dalla squadra mobile della Questura di Reggio Calabria. L’indagine a carattere economico-patrimoniale è stata eseguita da militari appartenenti al G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Reggio Calabria, nei confronti di un uomo originario della provincia reggina, con interessi imprenditoriali nel settore dell’edilizia, la cui figura criminale era emersa nell’operazione “Eyphemos”, che avrebbe consentito di disvelare l’attività del “locale” di ‘ndrangheta di Sant’Eufemia d’Aspromonte, dotato di margini di autonomia rispetto alla cosca di riferimento, quella degli Alvaro, al cui interno l’uomo avrebbe rivestito un ruolo di vertice. In particolare, sulla base delle risultanze investigative, l’imprenditore sarebbe risultato il capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno del locale di ‘ndrangheta, con compiti decisionali e di pianificazione delle azioni delittuose da compiere. Grazie al proprio carisma criminale, l’uomo sarebbe riuscito a catalizzare un cospicuo numero di sodali desiderosi di fondare un banco nuovo, ovvero di formalizzare quell’autonomia che, di fatto, già da tempo veniva esercitata dal gruppo. (AGI)