di Gianni De Iuliis
IL FIGLIOL PRODIGO – GIORGIO DE CHIRICO (1922)
Tecnica: olio su tela; Dimensioni: 87 x 59 cm; Luogo: Museo del Novecento, Milano
Giorgio de Chirico è stato uno dei principali esponenti della corrente artistica della pittura Metafisica, che rappresenta ciò che è oltre il reale, l’esperienza dei sensi. Il termine fu utilizzato per la prima volta proprio da De Chirico. Fu una novità assoluta, anche per il ritorno dei soggetti classici. Il termine «metafisica», estrapolato dal contesto filosofico, è utilizzato etimologicamente per indicare la rappresentazione dell’inconscio, del sogno e in genere di tutto ciò che è surreale. I paesaggi appaiono realistici, ma assemblati confusamente.
L’opera che proponiamo presenta tutti i caratteri fondamentali della pittura Metafisica. Essa raffigura l’abbraccio tra il figlio, rappresentato come un manichino senza volto e il padre, rappresentato come una rigida e immota statua di gesso. Evidente il richiamo alla parabola evangelica. L’abbraccio si compie in una piazza delimitata a destra da un edificio con i portici e aperta a sinistra su un paesaggio rappresentato in lontananza.
La prospettiva è costruita secondo molteplici punti di fuga, incongruenti tra loro, tanto che l’osservatore deve faticare nel ripristinare l’ordine di disposizione delle immagini. La scena suggerisce la presenza umana, ma è dominata dalla solitudine. Al centro campeggiano due manichini, protagonisti insieme alle ombre, a un esempio di architettura classica che richiama il Quattrocento fiorentino e a un paesaggio d’ispirazione toscana evocato appena sullo sfondo. L’uso del manichino è una costante del periodo metafisico. Rappresenta l’inconscio dell’autore che si proietta autobiograficamente in ogni sua opera. Infatti la parabola evangelica allude a un ritorno nel quale l’artista s’identifica in un particolare momento della sua vita: ritorno in patria dopo gli anni parigini e riconciliazione con il classicismo e l’arte italiana.