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Napoli e gli effetti del turismo

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Allan Kaval, Le Monde, Francia

Sasi Visone, 47 anni, era un parrucchiere come tanti quando i turisti hanno cominciato a frequentare le vie strette dei Quartieri spagnoli, la zona di Napoli dove è cresciuto e che ancora qualche anno fa era evitata dai visitatori stranieri.

A mano a mano che altri commercianti puntavano sul cibo di strada, il tracciato ortogonale di questa zona popolare del centro di Napoli disegnata nel cinquecento ha cominciato a coprirsi su Google maps di punti rosa che indicano le camere e gli appartamenti proposti su Airbnb.

Questa rapida trasformazione, diventata evidente dopo la pandemia ma cominciata qualche anno prima, ha dato vita a un “periodo d’oro” per i quasi quindicimila abitanti dei Quartieri spagnoli. Sasi Visone aveva capito che la situazione stava cambiando quando gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono arrivati nel quartiere per celebrare i trent’anni di vita della casa di moda, con il sostegno del sindaco di allora Luigi De Magistris. I tre giorni di festa hanno annunciato, in Italia e all’estero, il cambiamento dell’immagine di Napoli e del suo centro storico. Sui muri scrostati che nella memoria degli abitanti risuonano ancora dei colpi d’arma da fuoco sparati durante vari regolamenti di conti, Visone ha visto i vicini appendere per i turisti stranieri le foto di Sophia Loren nelle vesti della pizzaiola, del film L’oro di Napoli, di Vittorio De Sica, uscito nel 1954, e i ritratti in onore di Diego Armando Maradona, il leggendario calciatore argentino che regalò ai napoletani i primi due scudetti nel 1987 e nel 1990, raffigurato con l’aureola di un santo.

Santi e pellegrini

Dal dopoguerra l’economia dei Quartieri spagnoli, che si trovano vicino al porto, era dominata dalla prostituzione, dal contrabbando e da traffici di ogni genere, tra criminalità organizzata e piccola delinquenza. Ma ora nella parte bassa le sue strade sono coperte di insegne di bed and breakfast e pizzerie. I piccoli caffè di quartiere si sono messi a servire spritz. Così Sasi Visone, nato nei Quartieri spagnoli e figlio di un cameriere, ha pensato che valesse la pena di seguire la nuova tendenza. E accanto al suo salone da parrucchiere ha aperto un bar e poi unito le due attività sotto un’unica insegna: Barrucchiere Hair Studio 76. “Qualcuno pensa che sia un errore di ortografia, invece l’idea è proprio questa”, spiega l’imprenditore napoletano con aria divertita dietro la barba brizzolata. “Prima ti fai tagliare i capelli, poi ti bevi un bicchiere”. Nel salone da parrucchiere, che prevede tagli gratuiti per chi non se li può permettere, sua moglie Maria Mastracchio, 46 anni, vende le magliette della linea Quartieri spagnoli, lanciata dalla coppia e promossa su Instagram. Sasi ne indossa una e tutte hanno stampato il numero 1536, la data di fondazione di questa zona della città.

I Quartieri spagnoli hanno abbracciato il loro destino turistico così rapidamente che c’è chi teme che il cambiamento in corso possa portare a una “Napoliland”, una sorta di parco di attrazioni che sfrutta gli stereotipi associati a una città spesso idealizzata. Fino a pochi anni fa Napoli era considerata una delle ultime metropoli europee sfuggite alla gentrificazione e agli effetti nefasti del turismo di massa, ma ora il rischio della trasformazione in una “seconda Barcellona”, è molto presente, incubo di una città che rischia di essere sottratta alle sue classi popolari, di diventare asettica e mercificata.

Ma quando cala la sera sulle strade che in cinque secoli hanno visto molti conquistatori e che oggi digeriscono una massa assetata di viaggiatori, Visone gli servirà il vino bianco campano in bottiglie limited edition che celebrano il terzo scudetto del Napoli. Il trofeo, vinto a maggio di quest’anno dopo molto tempo, ha spinto verso i Quartieri spagnoli più di duecentomila turisti, venuti anche per rendere omaggio a Maradona, santo patrono della squadra, nel suo santuario, dove c’è il murales dedicato al calciatore. Un ex parcheggio che dopo la sua morte, nel 2020, è stato trasformato in un tempio pagano: altari, icone, bancarelle, chioschi. “Morendo, Maradona ci ha fatto un dono inestimabile”, osserva Maria Mastracchio, ed è vero che i santi e i pellegrini hanno sempre fatto vivere chi li ha saputi accogliere.

Per quanto riguarda l’amministrazione pubblica, l’esplosione del turismo, da 3,2 milioni di persone nel 2017 a dodici milioni nel 2022, in un’area metropolitana in cui abitano tre milioni di persone, è vista come l’espressione di una rinascita, nonostante i rischi che comporta. Un fenomeno che dovrebbe far dimenticare i brutti ricordi associati alla crisi dei rifiuti degli anni duemila o alla violenza mafiosa raccontata in Gomorra (Mondadori 2006) da Roberto Saviano. Un successo editoriale mondiale, poi diventato un film e una serie televisiva, che svelava la realtà di una città abbandonata alla violenza e corrotta dai clan della camorra.

“Alcuni quartieri, nel centro storico e altrove, vedono l’esodo dei loro abitanti e negli edifici sono sempre di più gli appartamenti affittati sul modello Airbnb”, spiega Teresa Armato, 67 anni, assessora al turismo a Napoli. “Si tratta del risultato di una domanda di alloggio a breve termine a cui l’economia dei quartieri risponde con un’offerta”, sintetizza l’assessora, che ricorda come la politica degli alloggi sia comunque di competenza nazionale. “Vogliamo diventare una capitale internazionale del turismo, e questo implica per la nostra città la necessità di cambiare pelle”, osserva Armato, che si appresta però a presentare un testo per bloccare il rilascio di nuove licenze per ristoranti.

I visitatori sono passati da 3,2 milioni di persone a dodici milioni in pochi anni

Chi si oppone

Secondo Ugo Rossi, professore di geografia economico-politica, napoletano e osservatore preoccupato dei cambiamenti della sua città, la rinascita turistica di Napoli nella sua forma attuale porta a un vicolo cieco. “Ci stiamo dirigendo verso una monocultura turistica simile a un’economia di rendita di tipo estrattivo come quelle basata sul petrolio o sulle risorse minerarie”. Per Rossi la deindustrializzazione degli stati europei e la scelta delle città del Nordeuropa di puntare sui servizi ha condannato quelle del sud al turismo, favorito dalle piattaforme su internet. I due fenomeni di gentrificazione dovrebbero portare a un risultato simile: città senza una popolazione locale. Per Rossi a Napoli si cominciano già a vedere gli effetti dannosi di “un’economia dell’esperienza”, dove si vende ai visitatori lo spettacolo di uno stile di vita, di una cultura locale che la loro presenza contribuisce però a degradare e a ridurre a degli stereotipi.

I dati raccolti da Alessandra Esposito, urbanista e autrice di un libro sulla “turistificazione” del centro di Napoli, Le case degli altri (editpress 2023), dimostrano che le circa ottomila offerte su Airbnb disponibili in città a marzo di quest’anno (nel 2015 erano 1.300) continuano a concentrarsi nei quartieri che hanno le maggiori difficoltà economiche e sociali. La loro presenza toglie delle abitazioni dal mercato, fa aumentare gli affitti al punto che per le famiglie con un reddito basso diventa impossibile trovare un alloggio, e rende difficile la sopravvivenza delle attività commerciali più modeste. La conseguenza logica di questo processo sarà il fatale imborghesimento dei quartieri popolari.

Contro questa evoluzione alcuni militanti di sinistra cercano di far sentire la loro voce, come Anna Fava, insegnante e autrice di un recente libro sulle trasformazione della città, Privati di Napoli (Castelvecchi 2023), scritto insieme ad Alessandra Caputi. “I napoletani sono contenti di sbarazzarsi della loro cattiva reputazione e non si fanno molti scrupoli”, si rammarica Anna Fava. “Ma sappiamo bene che tutto ciò porta all’emarginazione definitiva dei poveri”.

Nei Quartieri spagnoli, tra le innumerevoli bandiere biancoazzurre del Napoli e le onnipresenti foto dei suoi giocatori, si vedono a malapena i cartelli messi dal gruppo di lotta contro la “turistificazione”, la ReteSET (Sud Europa di fronte alla turistificazione). Gli slogan “Stop agli affitti cari!” e “Questa città non è un albergo” suscitano anche qualche critica del “Barrucchiere” Sasi Visone: “Sono cose da radical chic, gli affitti più cari sono il prezzo da pagare per non avere gente che ti spara per strada”. Visone, attento al turismo, va ancora più lontano: “Tutti i centri storici cambiano, è un fenomeno globale e ora per fortuna stiamo diventando una città globale”.

Tre strade più in alto del bar-parrucchiere, dove il cambiamento del quartiere non si manifesta più con ristoranti all’aperto rumorosi, ma prende la forma di una famiglia statunitense disorientata, che cerca l’ingresso del suo appartamento in affitto, Gennaro Boiano, 67 anni, termina la giornata di lavoro nel suo piccolo laboratorio di calzolaio, disordinato e accogliente. “Certo, siamo un po’ turbati da tutta questa confusione”, riconosce l’artigiano, che ricorda come solo sette anni fa aveva dovuto nascondere nel suo negozio un ragazzo appena sfuggito a un agguato dei suoi rivali. “Ma spero che rimanga sempre così. Quelli che seguivano la legge a modo loro hanno capito che gli conviene se gli affari leciti filano lisci. Anche loro si sono riconvertiti”, osserva Boiano, affermando di riconoscere nel quartiere, tra i venditori di souvenir o di bibite fresche e i proprietari di appartamenti in affitto, persone che prima facevano attività più pericolose. “Noi napoletani i lavori ce li creiamo”.

Conquistare i conquistatori

Nel suo studio a sua volta disordinato e accogliente, all’università Federico II di Napoli, vicino ai Quartieri spagnoli, dov’è nato, il professore di urbanistica Giovanni Laino traccia un quadro molto simile: “La maggior parte degli appartamenti dei quartieri popolari in affitto su Airbnb sono di proprietà degli abitanti originari di questi quartieri. Lo stesso vale per i ristoranti e i bar che si sono moltiplicati nella zona. La mutazione si fa anche dal basso, di conseguenza non si può fare ricorso agli stessi ragionamenti validi per analizzare la trasformazione di un quartiere come Belleville a Parigi. Napoli ha sempre trasformato i cambiamenti venuti dall’esterno e conquistato i suoi conquistatori”, spiega il professore, che continua a vivere nel quartiere dov’è nato e osserva le trasformazioni dall’interno: “Se la gentrificazione è un’epidemia mondiale, forse esiste una variante napoletana, ma in ogni modo non si può parlare della morte dei quartieri popolari”.

Come il calzolaio Boiano, anche Laino ha vissuto da bambino in un basso, uno di quegli appartamenti al piano terra con la porta come unica apertura verso l’esterno e che evocano storicamente le condizioni malsane in cui viveva la parte più povera della popolazione della città. Ora che sono stati ristrutturati, alcuni di questi bassi sono proposti in affitto sui siti web come “abitazioni tipiche” ai turisti in cerca di nuove esperienze. ◆ adr