“Quando iniziai a lavorare con Fabrizio, io avevo 21 anni e lui era un uomo di 35 con una carriera già avviata. Gli album che abbiamo scritto insieme sono stati concepiti in anni di condivisione anche della vita quotidiana”, così Massimo Bubola, che è stato per molti anni anche uno dei principali collaboratori di De André, ricorda l’amico cantautore in un’intervista pubblicata sul numero da domani in edicola di Famiglia Cristiana in occasione dei 25 anni della scomparsa del grande Faber.
Riguardo l’eredita lasciata dall’artista dice: “Ha dato coscienza a tutti che la canzone, in quanto più antica forma di poesia, poteva svolgere ancora un’importante funzione sociale, risvegliare le coscienze sia su tematiche storiche che attuali. Questo suo credere alla poesia come a una lingua super partes faceva sì che potesse rivolgersi a tutti gli uomini di buona volontà per aumentarne la sensibilità sociale verso gli sconfitti”. Un esempio? Dopo il rapimento avvenuto in Sardegna scrisse proprio con Bubola Il canto del servo pastore: “La storia di un adolescente che cresce senza potersi costruire una vita”. Infatti, continua, “era fondamentalmente un filosofo che amava riflettere e discutere sul senso della vita, che analizzava le vicende umane e i comportamenti dei grandi e degli umili, parteggiando per questi ultimi”. (AGI)
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