di Federica Capelli e Giovanni Carnazza
Un nuovo indice multidimensionale permette di sintetizzare la dipendenza e la vulnerabilità dei paesi europei dal petrolio. Evidenzia le tante conseguenze socioeconomiche negative che ne derivano, oltre a monitorare i ritardi nella transizione energetica.
L’Europa e la dipendenza dai combustibili fossili
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha riacceso l’interesse riportato al centro dell’attenzione nuova enfasi al tema della sicurezza energetica, declinata come sostanziale stabilità sia nell’approvvigionamento delle risorse sia nel relativo prezzo di acquisto. Benché l’energia prodotta dalle rinnovabili sia cresciuta in maniera significativa tra il 1999 e il 2019 (+9,7 punti percentuali), l’Unione europea rimane ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili. Nel 2019, circa il 70 per cento di quella disponibile è derivata, infatti, da questo tipo di risorse – con una riduzione di soli 10 punti percentuali nell’arco di vent’anni. Il petrolio è stata la risorsa più utilizzata per far fronte al consumo interno lordo (di energia) (36,7 per cento nel 2019) (figura 1).
Figura 1 – Energia lorda disponibile nell’Unione europea (28)
I valori aggregati non devono nascondere il fatto che la transizione energetica intrapresa dai paesi membri procede a velocità molto differenziate. Abbiamo alcuni casi molto virtuosi, come ad esempio l’Estonia, la Svezia e la Finlandia (anno di riferimento il 2019), ma la maggior parte dei paesi continua ad affidarsi ai combustibili fossili come principale fonte energetica e questo avviene all’interno di un range relativamente ampio (tabella 1). Dal canto suo, l’Italia, grazie a un aumento delle fonti rinnovabili, nel corso del tempo ha ridotto la sua dipendenza energetica dai combustibili fossili (-14,5 punti percentuali), che però rimane ancora molto al di sopra della media Ue (78,5 per cento contro 71,1 per cento).
Dipendere da una risorsa energetica non significa necessariamente essere vulnerabili sotto quel profilo. In letteratura, non esiste una definizione chiara e univoca di questo concetto ma, in generale, la vulnerabilità può essere definita come l’incapacità di un sistema di far fronte a determinati eventi negativi. Altri estendono la definizione, interpretando la vulnerabilità come il grado di esposizione di un sistema a vicende avverse con il rischio di conseguenze economiche, sociali, ambientali e di governance. In termini energetici, ciò si traduce nell’incapacità dei paesi importatori (e consumatori) di petrolio di gestire cambiamenti inattesi nella fornitura e nel prezzo con conseguenti effetti economici e sociali sfavorevoli. Poiché il concetto di vulnerabilità energetica coinvolge molti aspetti, è necessario tenere conto di diverse dimensioni e questa natura multidimensionale giustifica la necessità di un indicatore composito per valutare quanto un paese sia vulnerabile nei confronti del petrolio.
L’indice Modi
In un recente lavoro, abbiamo costruito un indicatore sintetico di dipendenza (e vulnerabilità) dal petrolio, denominato Modi (Multidimensional Oil Dependency Index), prendendo in considerazione i paesi dell’Unione europea (compreso il Regno Unito) in un arco temporale che va dal 1999 al 2019. La multidimensionalità dell’indice riguarda quattro elementi fondamentali:
Questi diversi aspetti sono stati poi sintetizzati attraverso la cosiddetta Principal Component Analysis (Pca) (o analisi delle componenti principali), il cui obiettivo è riassumere in un unico indicatore l’insieme di dati che compongono un determinato fenomeno, limitando il più possibile la perdita di informazioni. In tal modo, si è giunti alla creazione di un indice sintetico – che racchiude al suo interno tutti e quattro gli elementi – che mostra quanto l’Unione europea abbia diminuito la sua dipendenza complessiva dal petrolio nel corso del tempo (figura 2).
Figura 2 – Modi (Indice multidimensionale di dipendenza dal petrolio) per l’Unione europea (28)
La progressiva diminuzione non è avvenuta in maniera uniforme e molti paesi mostrano ancora notevoli ritardi nella loro riconversione energetica. Prendendo in considerazione l’ultimo anno di analisi (2019), tra i paesi più fortemente dipendenti troviamo l’Olanda, il Belgio, la Spagna, il Portogallo e l’Italia; per contro, i paesi più virtuosi sono Malta, il Lussemburgo e la Lettonia (figura 3). Allargando l’indagine all’intero periodo in esame (1999-2019), è interessante notare come Cipro e Croazia rappresentino i paesi che più hanno diminuito la loro dipendenza dal petrolio. Da questa analisi si possono trarre diverse conclusioni. In primo luogo, l’Ue ha ancora molto da fare per raggiungere gli obiettivi ambientali fissati dal Green Deal europeo: il disaccoppiamento del consumo di petrolio dalla crescita del Pil avviene solo in termini relativi ed è la conseguenza di un aumento del Pil più che di una riduzione del consumo di petrolio. In secondo luogo, sono necessari ulteriori sforzi per ridurre le divergenze nella transizione ecologica già evidenziate in precedenza e confermate dalla nostra analisi. Infine, la dipendenza dal petrolio costituisce un problema preoccupante per la sicurezza energetica dell’Ue, come mostrato dalle tendenze internazionali e geopolitiche. Il problema non è certamente nuovo per le istituzioni europee, ma è emerso in tutta la sua forza negli ultimi tempi a causa della guerra in Ucraina. Riassumendo, data l’urgenza della crisi climatica e delle tensioni geopolitiche, sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere i fattori alla base della transizione a più velocità dei paesi verso fonti energetiche pulite e della loro dipendenza multidimensionale dai combustibili fossili. Ciò potrebbe aiutare la politica a identificare i punti chiave di azione per accelerare la transizione ecologica, favorendone la convergenza tra tutti gli stati membri dell’Ue.
Fonte: La Voce