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Marijuana e cervello, quali gli effetti a lungo termine?

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Uno studio evidenzia una riduzione della corteccia orbitofrontale nei consumatori abituali. Ma servono ulteriori prove prima di sbilanciarsi. Ben diverso, invece, è l’impiego terapeutico

Negli ultimi vent’anni i consumi a scopo “ricreativo” sono sensibilmente aumentati. Ma gli effetti a lungo termine che la cannabis comporterebbe a danno dell’organismo umano non sono ancora del tutto noti.

Però c’è una verità che appare ormai difficile da scalfire: l’utilizzo a lungo termine di marijuana, i cui effetti vanno ricondotti al principio attivo, il tetraidrocannabinolo (Thc): presente nelle foglie secche in concentrazioni comprese tra l’0,5 e il 20%può influenzare la struttura e la funzione di alcune aree cerebrali.

 

EFFETTI SUL CERVELLO DELLA MARIJUANA

A confermarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences che ha fotografato per la prima volta le anomalie nelle funzionalità e nella struttura cerebrale dei consumatori di marijuana.

Le anomalie dipenderebbero dall’età del primo utilizzo e dalla durata dell’uso. Il gruppo di ricerca del Center for Brain Health dell’Università del Texas ha studiato 48 adulti consumatori (tre spinelli al giorno) e 62 non consumatori dello stesso genere e di pari età.

Alcuni test cognitivi e tre differenti risonanze magnetiche hanno rilevato nei consumatori cronici di marijuana un quoziente intellettivo inferiore rispetto ai volontari di controllo e un volume ridotto della corteccia orbitofrontale, la parte coinvolta nei meccanismi di dipendenza.

Le due rilevazioni, però, non sarebbero collegate. Al momento, infatti, non esiste un nesso diretto tra una scarsa intelligenza e un ridotto volume cerebrale.

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QUALE CORRELAZIONE?

Oltre al campione di studio piuttosto esiguo, occorre considerare che lo studio non risolve l’enigma di fondo: entrambe le evidenze sono riconducibili al consumo “ricreativo” di cannabis? Difficile dirlo con certezza.

C’è da dire, poi, che la parte del cervello risultata coinvolta nella ricerca è la stessa che regola tutti i meccanismi di dipendenza e che nei forti assuntori è risultata più attiva nello sviluppare nuovi processi di connettività. Un passaggio obbligato per far fronte alla riduzione del volume cerebrale?

Se quando si parla di impiego terapeutico le evidenze a favore non mancano,  l’utilizzo come passatempo, diffuso soprattutto tra i giovani, merita di essere analizzato a fondo.

Quali verità ci ha consegnato la ricerca in questi vent’anni?

Ci ha provato Wayne Hall, direttore del centro di ricerca sull’abuso di sostanze nella popolazione giovanile dell’Università del Queensland (Australia), a riassumerle in una review pubblicata su Addiction.

Se tra gli effetti acuti si segnala un più alto rischio di incorrere in incidenti stradali, aggravato dall’eventuale consumo di bevande alcoliche, e una maggiore probabilità per la donna incinta di partorire un neonato con un peso inferiore a quello atteso, più corposo è il dossier riguardante le conseguenze di un consumo abituale: si va dal rischio di sviluppare la dipendenza all’eventualità – più ricorrente in questi ragazzi rispetto a chi non usa cannabis – di voler provare anche altre sostanze illecite.

Poche settimane fa, infine, è stata una metanalisi pubblicata su The Lancet a sancire come un consumo frequente nel corso dell’adolescenza risulti correlato a un più basso livello di istruzione raggiunto entro i trent’anni d’età.

È tutta colpa della marijuana? Nessuno, oggi, può dirlo con certezza.

 

Fonte: fondazioneveronesi.it/