Di Marco Todeschini fonte@enciclopediadelledonne.it
Piccola, con due terzi di montagne ma senza materie prime, la Svizzera è divenuto il paese della prosperità – banche, orologi, cioccolato – solo da qualche decennio. Se pensiamo a molti film1 con storie di immigrati in un paese prospero che di loro ha bisogno (ma non vorrebbe vederli), pare assurdo vedervi un paese di emigrazione. Eppure, tra i cognomi italiani dei viticoltori della California, molti sono di origine ticinese.
Lungo la strada che da Montevideo porta a Colonia del Sacramento, si vede una freccia che indica la strada per “Colonia Suiza-Nueva Helvecia” (e un’altra “Colonia Suiza” si trova in Patagonia). Proprio a Montevideo, dal Canton Ticino, era emigrata la famiglia Alberti negli anni Settanta dell’Ottocento ed è là che nasce, quarta di otto figli, Maria Carolina, alla fine del 1879.
Nel 1883 la famiglia ritorna in Svizzera. Maria frequenta l’Istituto Santa Caterina di Locarno e nel 1894 ottiene il diploma di maestra. Il contesto in cui si forma è influenzato dalle idee di Pestalozzi, presenti negli anni Novanta dell’Ottocento nella Scuola Normale di Locarno. Gli studi magistrali durano allora tre anni, quattro dal 1903, quando l’impostazione herbartiana soppianta quella ispirata a Pestalozzi.
Dopo il diploma, nel 1895 Maria Alberti inizia il tirocinio nelle scuole di varie località, fino a che giunge a Muzzano; qui il comune la conferma maestra stabile il 1° ottobre 1917. Nel 1916 era stata in Italia in visita di studio e, presso la Società Umanitaria di Milano, aveva conosciuto il metodo montessoriano. Insegna a Muzzano fino al 1924. Nel 1920 sposa Pierino Boschetti e dall’unione nascono Franco e Giuliana.
Adatta alla realtà rurale ticinese il metodo educativo di Maria Montessori, incontrando non poche difficoltà dovute alla diffidenza delle autorità scolastiche locali e cantonali. Ma la sua Scuola di Muzzano suscita l’ammirazione di Giuseppe Lombardo Radice e di Adolphe Ferrière, direttore della Lega Internazionale per la Nuova Educazione e di molti pedagogisti di mezzo mondo.
Nel 1934 diventa presidente della Sezione Ticino della Società delle maestre svizzere, nel 1946 il Governo cantonale ticinese le conferisce un attestato di benemerenza per il mezzo secolo d’insegnamento in cui ha formato uomini liberi e cittadini schietti e responsabili. Nel 1948 è colpita da paralisi. Si spegne ad Agno all’inizio del 1951.
I paesi più complicati, in Europa, sono quelli più piccoli ma divisi in aree linguistiche; è il caso, oggi conflittuale, del Belgio; è certamente il caso della Svizzera: se l’area alemanica gravita su Germania e Austria, la “Suisse Romande” sulla Francia, è ovvio che l’area italofona guardi a sud; da sud, il confine di stato è irrilevante rispetto alla dimensione linguistica e culturale. Per Lombardo Radice, il “Ticino [va considerato] fra i precorritori della riforma scolastica italiana del 1923”, sia per la sua “schietta italianità” sia per “i rapporti intimi della didattica ticinese con la pedagogia italiana”. Quando visita alcune scuole ticinesi, fra cui quella di Muzzano, scrive che era “una delle più grandi cose incontrate […] in scuole italiane”; l’ammirazione lo spinge a seguirla nel corso del tempo, rimanendo in contatto epistolare con la maestra.
Muzzano, agli occhi del visitatore, non sembra avere nulla della scuola eccezionale: era “[…] una casuccia rustica, di modestissimo aspetto; gli scolari, contadinelli scalzi, che non vi sanno parlare che delle loro case, e anche di quelle poco, perché sono timidi; un’aula silenziosa, dove ogni bambino attende a ciò che lo interessa con serietà di lavoratore”. Lombardo Radice inizia a considerare Muzzano “una bandiera della riforma della scuola italiana”. Le scuole ticinesi erano cresciute grazie alla spinta proveniente dal basso, cioè per l’impegno dei maestri e inoltre la scuola di Muzzano poteva essere considerata come espressione della “vita del bambino”, frutto dell’incontro di due spontaneità, quella della maestra e quella dei fanciulli.
Lombardo Radice aggiunge le lodi per l’insegnamento promosso da Maria Boschetti Alberti, che valorizza il dialetto, la tradizione, la poesia popolare e i proverbi, quali fonti di espressione della spontaneità dei suoi alunni. A giustificare questa valorizzazione dell’uso del dialetto, la maestra scrive che “la scuola riproduce la vita del bambino, il suo ambiente, cioè scuola, casa e paese, in un sol tutto. È la vita che palpita nei lavori dei bambini”.
Qui si pone una questione di peso, per il suo contenuto contraddittorio: Lombardo Radice è il consigliere pedagogico di Giovanni Gentile, i cui interventi sulla scuola furono indicati dal Mascelluto come “la più fascista delle riforme”; il fascismo, nella sua sbornia nazionalista, forza nelle scuole la repressione delle lingue di minoranza e dei dialetti, entro una struttura militarmente gerarchica dell’apparato scolare: altro che “spinta proveniente dal basso”! In direzione nord-sud si pone un altro problema: fuori dalle città l’ambiente ticinese era (ed è) molto conservatore; Maria Alberti si sentiva appartenente a una comunità italiana più vasta di quella in cui viveva e ciò suscita ostilità di campanile, che saranno poi accresciute quando il fascismo si afferma in Italia: nella Confederazione elvetica vige la democrazia e il fascismo ne schiaccia le regole. Ambivalenza delle regole! Per uno svizzero stanno sempre e comunque al primo posto, anche nell’attività professionale. Non suscita simpatia un’educatrice che le metta in discussione sulla base di un’attenta osservazione dei soggetti educandi. Scontenta della scuola “comune”, scriveva: “cominciai a sognare una scuola più naturale, più razionale, più materna, più pratica, più adatta ai bisogni psichici del maestro e dell’alunno […]”.
Ad Agno dà vita alla “scuola serena”: una scuola per “ragazzi vivi, ragazzi veri, non ridotti a cose”, mentre nelle scuole comuni (tradizionali) i bambini “indossavano una sorta di maschera”, quasi fossero divenuti senza vita e senza anima. Ma si debbono criticare e superare anche le innovazioni: “Sono anni ed anni – diceva – che io non faccio più il metodo Montessori per il solo motivo che, da anni parecchi, io faccio scuola serena”2.
Se mi dite, maestri carissimi, che ognuno dei vostri allievi deve imparare le medesime cognizioni, sono con voi; ma se mi dite che ognuno deve imparare al medesimo modo, vi rispondo che questo è assurdo, è contro natura, è inumano. Ciascuno dei nostri alunni ha un diverso grado di intelligenza; sono enormi le differenze fra uno e l’altro tipo. Ogni tipo arriva ad imparare le medesime cognizioni, è vero: ma ogni tipo vi arriva in modo diverso. […] Il sig. … si diede subito a vedere pedagogista della vecchia scuola. Mi disse: Ma io provo col mio bambino: il metodo naturale è che, se egli fa un errore, io lo correggo! Ma che crede questo signore? Che da noi, invece di correggerli, si coltivino gli errori come fiori preziosi? È vero, usiamo dei riguardi!! Per esempio, coi bambini che cominciano appena ad esprimere i loro pensieri, o coi timidi, cerchiamo anche, se occorre, di indovinare: li lodiamo, sebbene scorretti, per incitarli a dire ciò che pensano. Se li avvilissimo, se correggessimo tutti i loro errori in una volta, non avrebbero più lo slancio di continuare. Correggiamo un errore solo: tanti errori corretti confondono i bambini; la correzione di uno solo, resta impressa. E l’errore lo facciamo sentire e correggere sì, ma da loro! Tanto è vero che questo è un giusto metodo, che i bambini diventano esatti e scrivono grammaticalmente corretto.
Con la “scuola serena”, Maria Boschetti Alberti intende fare un dono di rigenerazione alla scuola comune, introducendovi i rinnovamenti apportati dalle “scuole nuove” e dall’“educazione nuova”. Si parte dalla domanda “Perché gli alunni sono fuori di scuola vivi, dentro morti, morti alla vita della vera cultura?”. Gli elementi che caratterizzano il vissuto scolastico sono principalmente: libertà, rispetto dell’individuo, autoeducazione, consapevolezza educativa, insegnante “artista”, rispetto del bambino, centralità della persona, visione integrale/globale dell’alunno.
La libertà diventa l’elemento fondamentale per l’apprendimento. La libertà di modo (metodo) consente a ogni ragazzo di svolgere il proprio lavoro secondo le modalità da lui preferite: da solo o in coppia o in piccolo gruppo, nel banco o fuori di esso, scrivendo sul quaderno o alla lavagna o sul pavimento, con l’aiuto della maestra oppure no, avendo a disposizione vari materiali, con la possibilità di aiutare i compagni in difficoltà, eccetera. Il tutto va terminato nel tempo ritenuto necessario dall’alunno, che sceglie se concentrarsi a lungo su un unico argomento o se affrontarne altri (libertà di tempo).
Se nel XVIII secolo Felbiger aveva reso possibile in Prussia la “scuola per tutti” elaborando il “metodo normale” che rendeva possibile una sorta di “lavorazione a catena” dell’istruzione di base, qui si ribalta completamente il percorso e sono il bambino e la classe a dar forma all’azione scolastica. Per avere una sintesi fulminante si potrebbe adottare il motto dell’Accademia del Cimento, il dantesco “Provando e riprovando”, che non evoca affatto, come i più credono, “Provaci ancora, Sam!”, perché qui “riprovare” vale confutare: è invece la sintesi dell’approccio sperimentale: osservazione, ipotesi, esperimento.