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MAPPE PER IL FUTURO SE TRUMP TORNA PRESIDENTE

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La crisi in Medio Oriente, le armi all’Ucraina, i rapporti con la Cina. Scenari per il 2024 guardando alla Casa Bianca

di Massimo Gaggi

Dopo aver tentato per tre mesi di evitare l’allargamento del conflitto iniziato a Gaza, Joe Biden fa quello che solo l’America, pur perdendo peso in Medio Oriente, è in grado di garantire con la sua forza militare: tenere il Mar Rosso aperto al traffico navale evitando di riportare il commercio mondiale tra Asia e Occidente all’era preSuez della circumnavigazione dell’Africa. Intanto a Taiwan il partito contrario a un riavvicinamento a Pechino vince le elezioni. Il gelo polare nel quale, qui in Iowa, si apre l’anno elettorale americano (domani con 25 gradi sotto zero e venti a 70 chilometri l’ora i repubblicani che andranno a votare nei caucus sono stati avvertiti: rischiano di morire congelati se resteranno in fila all’aperto per più di dieci minuti) sembra la metafora delle prospettive tempestose di questo 2024. Un anno nel quale due miliardi di cittadini di quasi tutte le democrazie — dall’India alla Ue, passando per Gran Bretagna e Indonesia — andranno alle urne mentre il mondo è scosso da guerre in Ucraina e Israele e da nuove tensioni in Estremo Oriente. Un anno elettorale che si chiuderà con le presidenziali Usa del 5 novembre. Attese col fiato sospeso dai tanti che si chiedono come sarà il mondo Trump 2.0 se l’ex presidente, oggi favorito nei sondaggi, tornerà alla Casa Bianca.
Gli analisti oscillano tra due estremi: per i catastrofisti, continuando con la politica America First e un sostanziale isolazionismo, Trump abbandonerà l’Ucraina costringendola ad accettare la rinuncia a una parte rilevante del suo territorio e farà un secondo regalo a Putin riprendendo la sua politica di destabilizzazione della Nato. Nel resto del mondo, anche se gli Stati Uniti resteranno al fianco di Israele e continueranno a contrastare l’espansione dell’influenza cinese, il populismo sempre più diffuso tra i conservatori americani — l’idea che il contadino dell’Iowa o l’operaio di Detroit non debbano più sostenere con le loro tasse conflitti e Paesi non vitali per il futuro degli Usa — porterà a un progressivo ritiro di Washington dal mondo che lascerà gli alleati europei e asiatici più esposti alla prepotenza dei regimi autoritari, da Pechino a Mosca.
Ma c’è anche chi sdrammatizza notando come nel suo primo mandato Trump, pur mettendo sotto stress le istituzioni democratiche del suo Paese e logorando le relazioni con gli alleati occidentali, abbia imboccato in politica estera una strada — protezionismo, accordi di Abramo in Medio Oriente, confronto duro con la Cina — sostanzialmente seguita, pur se con toni meno aspri, anche da Biden. Chi abbraccia questo punto di vista ritiene che una nuova amministrazione repubblicana potrebbe addirittura rafforzare la posizione degli Stati Uniti: spaventati dall’imprevedibilità di Trump, gli avversari dell’America tornerebbero sulla difensiva, come lo sono stati dal 2016 al 2020, dopo questi ultimi anni nei quali la prudenza e la prevedibilità di Biden ha lasciato loro più spazi di manovra.
C’è del vero in tutte e due queste versioni. Prevedere come si muoverebbe Trump in un secondo mandato è relativamente semplice su questioni ideologiche di fondo come l’abbandono degli impegni presi dagli Usa per la lotta ai mutamenti climatici e la transizione energetica. O per il ritorno a un rapporto conflittuale (soprattutto per motivi economici) con gli alleati europei e la stessa Ucraina. Trump potrebbe far scivolare in secondo piano la questione, angosciosa per gli europei, del rispetto da parte americana dell’articolo 5 del Trattato Nato(l’obbligo di intervenire militarmente per difendere qualunque Paese dell’Alleanza sotto attacco) tornando a chiedere ai partner di rispettare gli impegni in materia di spesa militare presi in ambito Nato ma, soprattutto, placando le ambizioni imperiali di Putin con concessioni, soprattutto a spese dell’Ucraina di Zelensky: un leader che a suo tempo si rifiutò di fornire (o costruire) prove contro Biden sugli affari del figlio Hunter e per questo detestato da The Donald.
Più difficile immaginare come Trump reagirebbe all’esplosione di nuove crisi: dipenderà da lui ma, vista la sua limitata capacità di concentrazione su problemi complessi, anche dalla sua squadra. Un team certamente diverso, più radicale, rispetto a quello del suo primo mandato. Trovandosi, rispetto a otto anni fa, a fronteggiare due guerre e rapporti molto tesi con Pechino, è probabile che le principali novità del suo governo verrebbero, oltre che dalle concessioni a Putin, da un confronto con la Cina che può diventare vera guerra fredda e dal Medio Oriente: appoggio ancor più convinto a Israele e linea dura con l’Iran degli ayatollah.
Qui Biden ha reagito contro gli Houthi e altri gruppi filo iraniani ma senza attaccare direttamente l’Iran in assenza di prove di un suo ruolo diretto nei conflitti. Trump, che nel 2020 fece eliminare il generale Quasem Soleimani per attacchi a interessi americani meno gravi di quelli registrati dall’attacco di Hamas del 7 ottobre in poi, potrebbe ordinare rappresaglie militari dirette contro Teheran.
Si creerebbe una situazione di enorme pericolo ma, visto che l’Iran ha sempre mostrato di temere la forza militare americana e di volere evitare una guerra che porterebbe distruzioni in casa, a quel punto potrebbe venir meno l’appoggio ai gruppi ribelli che alimentano conflitti in tutto il Medio Oriente. Tornerebbe, negli Usa, un’onda di islamofobia e crescerebbe il rischio di terrorismo jihadista in tutto l’Occidente.
Quanto all’Estremo Oriente, ferma restando la sostanziale continuità tra le politiche democratiche e repubblicane nei confronti della Cina, è probabile che quella guerra fredda che Biden ha cercato di rinviare perseguendo insieme il contenimento commerciale e militare del gigante asiatico e la ricerca del dialogo con Pechino per arrivare almeno ad accordi minimi sulla sicurezza reciproca, diventerebbe realtà con un Trump deciso a bloccare la crescita della Cina con barriere commerciali e blocco degli investimenti aziendali estesi ben oltre il campo delle tecnologie avanzate.
Tra i tanti che temono un mondo a misura di Trump, caotico, imprevedibile, alla mercé di logiche autoritarie, spuntano anche fan dell’ex presidente pronti a scommettere sul Donald
dealmaker: negoziatore spregiudicato, pronto a trattare con tutti, dai talebani al coreano Kim Jong-un. Trump nuovo Nixon per il disgelo con Pechino? Difficile da immaginare. Anche perché non si vedono Kissinger in giro.

Fonte: Corriere