Un conto è il dovere della memoria e anche il gusto per le ricorrenze, un altro è l’ossessione. Infatti, il dibattito pubblico è stato egemonizzato per decenni da un manicheismo isterico e paralizzante, su cui si è cementato il bipolarismo di coalizione all’italiana
di Antonino Gulisano
Un giovane di diciotto o di trent’anni che legge i giornali di oggi, trova decine di articoli che da giorni riempiono le pagine dei quotidiani per il trentennale di “Mani Pulite”, ma anche la crisi tra Russia e Ucraina, l’aumento delle bollette energetiche, gas e elettricità, lo scontro tra centrodestra e centrosinistra e i referendum sulla giustizia, l’eutanasia e l’uso della cannabis.
Credo che queste notizie facciano sui giovani di oggi lo stesso effetto che ai diciottenni del 1992 avrebbero fatto altrettante pagine dedicate alla nazionalizzazione dell’energia elettrica o alla riforma della scuola media, alla nascita del quarto governo Fanfani o all’elezione di Antonio Segni al Quirinale. Un conto è il dovere della memoria e anche il gusto per le ricorrenze, un altro è l’ossessione. Infatti, il dibattito pubblico è stato egemonizzato per decenni da un manicheismo isterico e paralizzante, su cui si è cementato il bipolarismo di coalizione italiano tra berlusconiani e antiberlusconiani, anticomunisti e antifascisti, garantisti e giustizialisti. Due prigioni in cui le forze ragionevoli di entrambi gli schieramenti sono rimaste ostaggio dei rispettivi mestatori.
Trattandosi, nel caso di “tangentopoli”, di vicende di trent’anni fa, forse sarebbe possibile dire che ai diciottenni di oggi quei fatti del passato possano fare quell’effetto solo se solo da trent’anni in qua gli eventi avessero seguito il loro corso naturale, invece di ristagnare in questa enorme pozzanghera melmosa da cui non riusciamo a uscire. La differenza, infatti, è che mentre i principali fatti politici del 1962 erano a tutti gli effetti, per un ragazzo dei primi anni novanta, materiale per musei e libri di storia, lo stesso proprio non si può dire, oggi, per Mani Pulite, per lo scontro tra politica e magistratura, per le polemiche su questione morale e stato di diritto, giustizialismo e garantismo.
Accendendo la televisione, quasi ogni giorno, troviamo Piercamillo Davigo intento a elucubrare su questi argomenti, accompagnato da numerosi colleghi, quelli ancora in servizio quanto quelli nel frattempo diventati ministri, parlamentari e capi partito, sempre attorniati da uno stuolo di giornalisti amici, ma forse bisognerebbe dire compagni d’arme, nel fuoco della battaglia di trent’anni fa, in cui si sono saldate relazioni e solidarietà indistruttibili. Lo spettacolo è sempre lo stesso, gli stessi i protagonisti, lo stesso lessico. Ieri, oggi e domani.
Se nei primi anni novanta fossero state fatte delle riforme elettorali e istituzionali, si sarebbe potuto considerare chiusa quella fase drammatica, dando vita a un nuovo sistema, fondato sulla legittimazione reciproca tra gli schieramenti in un quadro di regole condivise. Sfortunatamente, abbiamo avuto invece il tentativo di entrambi i poli di scriversi le regole a proprio vantaggio, in un contesto di delegittimazione reciproca sempre più violento, che ha prodotto di conseguenza l’esplosione del populismo e dell’antipolitica, a destra e a sinistra.
Le elezioni del 2018 sono state il punto più estremo di una simile deriva, cominciata con Mani Pulite, o per meglio dire con l’illusione che i magistrati non dovessero limitarsi a mettere in galera i corrotti, possibilmente dopo un regolare processo e non prima, cioè accertare precise e ben determinate responsabilità penali di ben precisi e determinati individui, ma potessero guidare l’abbattimento di un «sistema» e addirittura decidere le caratteristiche del nuovo, conservando una sorta di perpetuo potere di «moral suasion», diciamo così, sulla politica.
In conclusione per smontare una simile alterazione del nostro dibattito pubblico e della stessa divisione dei poteri è necessario ricostruire un sistema politico realmente pluralistico, non ingabbiato nella logica della coalizioni pre-elettorali. Ritornare allo spirito della Costituzione vigente con una riforma elettorale proporzionale e che garantisca agibilità politica a tutte le espressioni e il reciproco riconoscimento, la tolleranza. Altrimenti, per non stare coi farabutti, anche i riformisti più ragionevoli finiranno sempre per schierarsi con i mezzi uomini o i quaraquà e, al tempo stesso, anche i liberali meglio intenzionati, per non stare con gli ominicchi, finiranno sempre per schierarsi con i delinquenti. E non ne usciremo mai.