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Måneskin e la svolta antropologica, rivoluzione 4.0

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di Gianni De Iuliis

Il settantunesimo Festival di Sanremo è stato vinto dai Måneskin con il brano Zitti e buoni per la sezione Campioni e da Gaudiano con il brano Polvere da sparo per la sezione Nuove Proposte.

Dopo Mistero, con cui Enrico Ruggeri vinse il Festival del 1993, un’altra canzone rock e quindi «poco sanremese» si è affermata sul palco dell’Ariston.

Al netto delle tradizionali polemiche sanremesi, che quest’anno hanno colpito Ibra, Achille Lauro, i due conduttori impenitenti gaffeur; al netto delle considerazioni sociologiche-sanitarie-morali-moralistiche sull’opportunità di fare svolgere questo Festival, tale edizione ha avuto molto successo tra i giovani (direttamente osservabile dalle rilevazioni statistiche di Auditel), con un vistoso incremento del target 15-24 anni. Infatti, a fronte di ascolti televisivi inferiori rispetto a quelli passati, la manifestazione si è affermata soprattutto sul web. I social hanno commentato con interesse i fatti di Sanremo, le canzoni sono state molto ascoltate sulle piattaforme di streaming musicale, il sito RaiPlay è stato letteralmente preso d’assalto.

Un Festival dei giovani e per i giovani, con canzoni fresche, cantate da cantanti per lo più quasi esordienti, con ritmi meno sanremesi del solito.

I Måneskin sembrano il simbolo di questa edizione. Sono un gruppo musicale rock italiano nato a Roma nel 2016 e composto da Damiano David (voce), Victoria De Angelis (basso), Thomas Raggi (chitarra) e Ethan Torchio (batteria). Hanno raggiunto la notorietà nel 2017 in seguito alla partecipazione all’undicesima edizione di X Factor. Si classificarono secondi e tuttavia firmarono un contratto con la Sony Music. A proposito del brano vincitore a Sanremo hanno affermato:

«La nostra non è una rabbia nei confronti di qualcuno, ma un’ira che smuove, che crea le rivoluzioni, un’ira catartica rivolta alle oppressioni e agli oppressori, che porta a sfogarsi e a ribellarsi verso tutto ciò che ti fa sentire sbagliato e che, come risultato, porta a una rinascita e a un cambiamento. Abbiamo voluto collocare questa forza molto potente in un contesto, quello del teatro, che nell’immaginario comune viene percepito come elegante e pacato. Ci piace questa antitesi: un contrasto che vive nel momento in cui il sipario si apre e, al posto di uno spettacolo o di un balletto, ci si ritrova catapultati in questa esplosione di energia. Il teatro è una metafora a rappresentare l’arte, il luogo dove questo impulso potente genera qualcosa di artistico e positivo».

Le parole di questa intervista, insieme al testo di Zitti e buoni, evocano ribellione, se non proprio rivoluzione. Spesso il mondo della canzone ha prodotto testi di protesta, denuncia, ribellione, rivoluzione: Bob Dylan, Tracy Chapman, Bob Marley, Paolo Pietrangeli, John Lennon, Joan Baez, Inti Illimani, Fabrizio De Andrè, Modena City Ramblers, Francesco Guccini, solo per citarne alcuni. Non vi sembri irriverente l’accostamento. Né è il caso di scimmiottare. Chi lo fa non comprende che quella dei Måneskin appare la rivoluzione della rivoluzionarietà. I fighettini potrebbero chiamarla Rivoluzione 4.0, ma forse è più corretto affermare che interpretano lo spirito rivoluzionario dei più giovani in un contesto post-ideologico e individualista.

In un’epoca segnata dalla drammatica scissione tra società civile e istituzioni, dalla frattura tra individuo e cittadino, che cosa resta ai giovani e alla loro canonica voglia di ribellione? Anche la rivoluzione è imprigionata in un mortificante individualismo e sconfina in un atteggiamento déraciné, in pose da bohémien, senza consapevolezza politica, senza interessi per l’altro.

In un reale neutro, senza appartenenze sociali, senza identità politica, senza una comune visione del Bene, senza una prospettiva futura, diventa rivoluzionario un look estremo, una parolaccia pronunciata sul palco dell’Ariston, una smorfia in diretta durante X Factor. Si realizza forse una svolta antropologica. Ogni individuo è una monade. Il suo agire è in antitesi con il suo essere.

Ascoltate attentamente il testo dei Måneskin. Si parla di diversità, di anti-conformismo, di fuga dalla massa. Ma si parla al singolare. L’IO sostituisce il NOI e cancella il TU. L’ALTRO è solo uno specchio in cui riflettersi narcisisticamente per affermare la propria diversa superiorità:

«Troppe notti stavo chiuso fuori / Mo’ li prendo a calci ‘sti portoni / Io / Ho scritto pagine e pagine / Ho visto sale poi lacrime / Perché / Sono fuori di testa ma diverso da loro».

Complimenti ai Måneskin.