Si parla sempre più spesso di una dicotomia tra sinistra e destra. Viene, però, spontaneo chiedersi, come Gaber nella sua celebre canzone, “ma cos’è la destra, cos’è la sinistra “.
di Ettore Minniti
Si parla sempre più spesso di una dicotomia tra sinistra e destra. Viene, però, spontaneo chiedersi, come Gaber nella sua celebre canzone, “ma cos’è la destra, cos’è la sinistra “.
È probabile che la distinzione sia logora e vetusta, un bipolarismo seppellito dalla Storia. I detrattori dicono che destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia. Poi ci sono i nostalgici: quelli del centro. Quel centro moderato che, in contrapposizione all’estremismo di destra e sinistra, dovrebbe garantire sicurezza, stabilità, governabilità, schierandosi, con l’opportunità del momento, con uno e con l’altro. Ma se oggi nessuno sa definire destra o sinistra, è altrettanto vero che non esiste una definizione chiara di “centro”. Il centro in sé non significa niente, è solo un contenitore.
Sembrano mancare, nel teatrino della politica italiana, gli interpreti del pensiero socialista e socialdemocratico.
Come sostiene il direttore del Quotidiano dei Contribuenti, Antonello Longo, “La storia è importante e molti devono ancora fare i conti con la storia, ma l’identità non basta. Il riformismo è un metodo, ma ciò che conta è il contenuto delle riforme”.
Sia la destra che la sinistra (e anche il centro, semmai esistesse un centro) affidano il loro pensiero politico programmatico, come sostiene il Longo, ad un riformismo liberista, da consegnare nelle mani dei privati, in deroga al principio Costituzionale (art. 41) per cui il mercato deve servire ai fini sociali.
Manca quindi nell’agenda politica odierna un movimento di idee che sia un vero riformismo socialista.
In questa perdita di identità tra sinistra e destra (il centro non esiste), i partiti hanno perso la loro funzione; tra l’altro alcuni leader sono distanti e distinti dal cittadino elettore; hanno provocato (deliberatamente?) un solco non facilmente più colmabile, complice un sistema elettorale perverso. Manca quindi una partecipazione alla vita democratica dei cittadini.
Il pensiero socialista/socialdemocratico, semmai vi fossero uomini e donne in grado di farsene promotori, liberi e forti (non quelli che piatiscono un posto in Parlamento), dovrebbero opporsi a questo pensiero liberale sfrenato, dovrebbero contrastare questa forma di neoliberismo imperante che ha fatto danni in tutti i settori della società, sostenendo solo ed esclusivamente l’economia privata e non quella sociale, tant’è che le norme, i regolamenti, le leggi sono solo frutto di una ‘richiesta pressante dell’economia’, come se i problemi sociali e soprattutto le ingiustizie, le disuguaglianze ambientali, sociali, culturali e biologiche, appartenessero ad un mondo che non è più il nostro, impasticcati come siamo di media e social.
Diceva don Luigi Sturzo che un’economia senza etica è diseconomia. Non ci sembra che vi sia qualcuno che parli di etica in questo momento storico o che sia in grado di attuare una politica finalizzata a ridurre le disuguaglianze fra i cittadini sul piano sociale, economico e giuridico.