Type to search

Maledetta Brexit

Share

Sette anni fa il Regno Unito usciva dall’Europa, oggi il suo ideologo Nigel Farage ammette: è stato un fallimento totale

Paolo Guzzanti

Era il 23 giugno del 2916, sette anni fa quando il Regno Unito votò la Brexit e si staccò dall’Europa. Maledetta Brexit. Non sono io a dirlo (io, personalmente, lo urlo) ma il suo ideologo dannatamente simpatico quanto catastrofico, Nigel Farage, ma lo dice lui. Fa penitenza e si pente. Ma invano.
Quel che è fatto è fatto, e il Regno Unito si è chiuso a chiave in quelle isole per cui Winston Churchill gridava: “Combatteremo sulle colline e in pianura, sui campi d’aviazione e nelle strade, combatteremo nei mari e nei cieli, but we’ll never surrender”. Non ci arrenderemo mai. Aveva di fronte a sé dall’altra parte della manica le armate di Hitler che avevano divorato l’Europa occidentale e che attendevano un semplice atto di resa da Londra per chiudere la guerra e tornare a casa. Ma il Regno Unito non era d’accordo. Non voleva una pace tedesca, né che l’Europa fosse in mano ai tedeschi, Londra era sola a combattere la Germania sostenuta dai convogli americani che portavano armi, cibo medicine e carburante. La fine è nota: l’impero vinse in Occidente con gli americani e solo con molta con riluttanza provò a digerire questa nuova Europa a prova di altre guerre tedesche. L’altro padre della Brexit è l’ex premier Boris Johnson, per caso nato in America e autore di una monumentale biografia di Winston Churchill che vidi presentare in una piccola libreria di Georgetown, dove disse: “Quando Churchill pronunciò la sua orazione per la resistenza a oltranza contro i tedeschi, usò soltanto parole anglosassoni tranne una, “surrender” che è francese: “se rendre”.
In inglese non è prevista la resa”.
È finita come sappiamo: l’Europa – che avrebbe potuto aprirsi sull’Atlantico fino sbirciare lo skyline di New York, si ritrovò confinata in un orizzonte carolingio francese e tedesco (e russo), con la magra soddisfazione di sentire ogni giorno funzionari e deputati tedeschi, francesi, belgi, polacchi, italiani e spagnoli parlare solo in inglese quando vanno a Bruxelles. È vero: è rimasta l’Irlanda che però ha costituito il problema più angoscioso della Brexit visto che non ha non deve avere confini con l’Irlanda del Nord che è territorio pacificato, ma suddito di sua maestà Elisabetta e oggi di Carlo Terzo. Che si sappia, tutta la famiglia Windsor era contro la Brexit ma le teste più calde e gli oratori più dotati, come Nigel Farage e Boris Johnson, spesero tutte le loro energie per rimettere nel cuore britannico l’oggetto perduto della unicità, dell’isola separata, della cultura separata e del primato della democrazia. Nei servizi televisivi molti giovani intervistati dicevano con calma “Io sono inglese e non voglio essere europeo, ognuno a casa sua”.
Oggi Farage ha lasciato il partito che aveva fondato e con cui aveva ottenuto un grande successo, proprio il partito della Brexit e dice: “È stato un fallimento totale. Lo riconosco in pieno ma la colpa è dei Tory”. Gli ex eroi decaduti della Brexit, fra cui il suo leader dicono che la carta vincente della Brexit fu il tema dell’emigrazione: “Sulla paura di un’ondata di immigrati dal mare, è nata la voglia di isolazionismo, di rifiutare le leggi europee, i lassismi europei che avrebbero potuto imporci ciò che non volevamo: noi siamo quel che resta del più grande impero del mondo e abbiamo un Primo Ministro etnicamente indiano”
Farage riconosce che la Russia è stata la più energica sostenitrice della Brexit e che lui stesso è stato indagato, pur essendo un cittadino britannico, dall’FBI americano su richiesta di Hillary Clinton: i Democrats americani hanno il dente avvelenato con sovietici prima e con Putin dopo perché dicono che sono stati loro a fare campagna per Donald Trump. E quindi fra loro, come fra i laburisti inglesi, il colpaccio della Brexit sia stato una vittoria di Mosca perché ha isolato Londra e rafforzato l’Europa carolingia. Boris Johnson non rilascia dichiarazioni per l’anniversario perché ha devoto dimettersi dalla Camera dei Comuni per evitare l’arresto essendo stato trovato colpevole di aver ingannato il Parlamento con false informazioni. Nella prima democrazia del mondo accede anche questo: un ex primo ministro può essere arrestato se ha detto cose false mentre era in carica, a meno che non si dia alla pesca e al giardinaggio, Piers Morgan, che conduce il più caustico e infernale giro di commenti mattutini, ha portato Farage davanti alle telecamere: “Lei ha voluto la Brexit. Lei ha fallito. Cosa ha da dire?” Nigel Farage adesso dice che comunque il Regno Unito è padrone almeno delle proprie banche. Ma nessuno, neppur fra i Tory più sfegatati vuole prendersi la responsabilità del disastro. A Westminster finiscono sotto attacco sia i Tory che i laburisti, i primi per avere agito malissimo; i secondi per aver taciuto. Ma ecco il listino del divario fra i prezzi in UK ed EU sbandierato in Parlamento da un furioso e calvo deputato scozzese che legge le cifre del disastro: cibo, energia, mutui e l’umiliazione subita dalla Scozia ormai sull’orlo della secessione.