Giuro che non so bene cosa sia giusto fare: alleanza Pd-Pdl per un governo d’emergenza? Elezioni subito? Renzi invece di Bersani? E non solo non lo so, ma da cittadino sempre più sento che questo dibattito non mi interessa proprio. Mi sembra che tutto sia ridotto a una sfida di calcio fra tifosi: non è importante quel che si fa, l’importante è alzare un po’ più in alto la bandiera della propria squadra. So, invece, un paio di cose. So, ad esempio, di non sopportare gli “utili idioti” che scrivono: “dai, mandiamo tutti un messaggino al PD per dire che se si allea con Berlusconi perde un altro milione di voti”. Messaggini (ma, poi, qual è il cellulare del Pd?) ‘utili’ solo a chi gioca allo sfascio, Grillo e Casaleggio insomma, e con loro tutti quelli della linea “noi puri, tutti gli altri fanno schifo”, e intanto chi è in macerie è il Paese intero. Gente radical chic che può permettersi di discettare su internet se Gramsci e Bordiga si sarebbero mai alleati con uno come Berlusconi (giuro che è vero: un tipo me lo ha scritto su facebook). Qui non mancano le rose, qui manca il pane. E per chi ha la pancia vuota resta un po’ difficile ragionare di Gramsci e Bordiga, e gliene frega nulla se il pane gli arriva da uno che si chiama Bersani, Berlusconi o Tiziocaio. E quando si arriva a questo, il Tiziocaio di turno potrebbe anche essere uno poco raccomandabile. So anche che la gente non non ne può più. Non la ‘gente’ in generale, ma coloro che sono intorno a me, miei amici, buoni conoscenti, imprenditori che improvvisamente si ritrovano col nulla e con debiti da pagare, lavoratori di aziende licenziati, giovani famiglie che andavano avanti con collaborazioni occasionali e che non hanno più neanche quelle. La linea di confine non è più solida come un tempo, quando fra me e il barbone che dormiva in stazione c’era un abisso. Qui il confine è labile, oggi puoi girare col Mercedes e domani pensare alla corda per impiccarti. So anche che l’Italia del benessere non c’è più. Nei giorni scorsi ho preso l’auto e ho fatto un giro per quella che era una delle zone simbolo del modello di sviluppo marchigiano: la valle del Foglia, alle spalle di Pesaro. Qui ci sono colossi internazionali del mobile, marchi che conoscono ovunque come Scavolini, Berloni, Febal. E tutt’intorno c’erano centinaia di ‘fabbrichette’ -il famoso ‘indotto’- che davano da vivere a migliaia di persone. C’erano. Perché oggi è un cimitero. Un cimitero di cartelli ‘vendesi’ o ‘affittasi’, di porte e cancelli chiusi. Sembra irreale. L’Italia sta morendo, e in molti, in troppi, si divertono con le analisi politiche, un nuovo gioco per adulti insoddisfatti che da ragazzi perdevano immancabilmente a Risiko. Prima ridate pane e lavoro, poi gingillatevi con le analisi politiche. Già immagino i commenti: “qualunquista!”. Ma ridare pane e lavoro è già un atto politico, peccato che molti non se ne rendano conto. E peccato anche che molti italiani non possano commentare qui, semplicemente perché hanno rinunciato a internet, come hanno rinunciato al vestito nuovo alla pizzeria al libro alla gita la domenica. Prima si è cominciato col superfluo, poi con tutto. Alla fine ti accorgi che forse non ce la fai neanche a far la spesa all’ipercoop, allora te ne vai all’hard-discount, poi non reggi neppure quello, e allora pensi a come accidenti fare. Ci sono famiglie che non pagano più le assicurazioni dell’auto, perché fra il cibo e la polizza la scelta non può che essere il cibo. Nei centri delle parrocchie si fa la fila per i vestiti. Il Banco Alimentare ha in elenco sempre più famiglie di quella che definivamo la piccola-media borghesia italiana: non hanno più i soldi per la spesa e si vergognano a presentarsi ai servizi sociali del Comune, meglio, molto meglio, l’anonimato che ti garantiscono le parrocchie e CL. Chi si è fermato un passo prima dalla disperazione, perché magari ha i genitori che l’aiutano, di pacchi alimentari non ne vuol sentire parlare, vuole lavoro lavoro lavoro. Ma il lavoro non c’è, non si trova, neanche nelle Marche Felix. I tre suicidi di Civitanova Marche ci dicono che fino a ieri si ammazzavano gli imprenditori di fronte a uno Stato che costringeva al fallimento, oggi si ammazzano le famiglie che non ce la fanno a mettere insieme i soldi per l’affitto con quelli per la spesa. Nelle scuole dell’infanzia, ci sono meno iscrizioni alla mensa perché i genitori non abbastanza euro, e gli indicatori Isee possiamo anche buttarli via: oramai non misurano un bel niente. Nei giorni scorsi una delle donne più impegnate nel nostro Paese sul fronte dell’infanzia, mi raccontava che per molti bambini rinunciare alla mensa significa rinunciare a un pasto di qualità. “Molti bambini arrivano da noi il lunedì che la domenica hanno mangiato poco e male. Sono ancora piccoli, ce lo dicono, non si vergognano, dicono ‘maestra, ho fame‘”. Questa è l’Italia della vergogna. E mentre la politica s’avvinghia su se stessa mettendo veti su veti (Bersani vuole Grillo ma Grillo non vuole Bersani, Berlusconi vuole Bersani ma Bersani non vuole Berlusconi), quella che sta scoppiando è la miseria. Regina, il popolo non ha più il pane. Che mangino briosches, rispose Maria Antonietta. Com’è finita, ce lo racconta la Storia. Grillo dovrebbe studiarla, e non solo Grillo.
Diario di Bordo – Giovanni Belfiori