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Ma la zuffa su Ventotene non aiuta nessuno

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di Alberto Bianchi

Sì o no al Manifesto di Ventotene come riferimento per gli europeisti? Da una visione europeista e nazionale di stampo socialdemocratico, socialista liberale, di sinistra riformista e di governo – alla quale mi ispiro e a cui ho conformato il mio impegno politico – non può che derivare un no, senza se e senza ma, all’interrogativo posto. Ambiguità, terzismi e astensionismi vari, personali o partitici, non sono giustificati di fronte a scelte inerenti la politica estera di un paese, la collocazione internazionale dell’Italia, l’integrazione europea, la difesa e la deterrenza militare comune dell’Europa. Ma non si tratta, ovviamente, di una questione personale.

Sul Manifesto di Ventotene – concepito e redatto nel 1941 da Spinelli, Rossi e Colorni – si sta facendo molta confusione e strumentalizzazione diffusa. Facciamo chiarezza, dunque. Ebbene, sul piano della genesi e formazione storica e politica del processo di cooperazione, integrazione e, poi, di unione dei paesi europei, l’Europa che abbiamo oggi al nostro cospetto non è nata dal manifesto dei federalisti di Ventotene, quantunque Spinelli abbia collaborato al progetto di trattato per l’Unione Europea presentato al Parlamento Europeo nel 1984 e, nei primi anni Cinquanta, lavorato con De Gasperi nella stesura del trattato della Comunità europea di difesa (come ricorda il prof. Stefano Ceccanti su “Landino”, sito della Fuci). Piuttosto, sono i nomi di Schuman, Adenauer e, per l’appunto, De Gasperi alla base dell’avvio dell’unione europea, nel contesto della ricostruzione del vecchio continente dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.

Intendiamoci: il Manifesto di Ventotene circolava in Europa – soprattutto in Italia, meno in altri paesi – ed alcuni circoli politici europei ne furono influenzati. Ma da qui a dire – come ha mostrato di credere una parte della sinistra italiana – che quel manifesto rappresenti addirittura il pilastro della costituzione materiale dell’Europa unita è segno di eccitata immaginazione piuttosto che di salda consapevolezza storica e filologica. Ed è significativo, a tal proposito, che gli europeisti ventotenesi di oggi preferiscano sorvolare sul punto in cui il manifesto in questione parla di un’Europa forte e armata.

Una coscienza lucida del passato, invece, non può nascondere che gli stessi Stati Uniti resero possibile il progetto di integrazione europea, principalmente attraverso il piano Marshall di aiuti economici e finanziari all’Europa, purché i paesi europei così sostenuti collaborassero tra loro. Gli Stati Uniti vedevano nel piano Marshall, nell’integrazione europea di De Gasperi, Schuman e Adenauer e nella Nato un triplice strumento per garantire la stabilità dello scacchiere regionale europeo e contenere la minaccia sovietica: una preoccupazione strategica comune alle due sponde dell’Atlantico.

Ma non è tutto, perché la suddetta architettura affrontava anche un altro nodo geopolitico rilevante: la questione tedesca, tenendo la Germania sotto controllo come uno dei pilastri economico-finanziari della nuova Europa unita. Interesse strategico, quest’ultimo, sempre vivo non solo per gli Stati Uniti ma anche per la Francia. Ricordiamoci del motto che girava allora in ambienti Nato per descrivere il significato e il ruolo dell’Alleanza atlantica: “Americani dentro, russi fuori, tedeschi sotto”. Motto che, per il punto riferito alla Germania – “tedeschi sotto” controllo, per l’appunto – fu accolto anche tra le cancellerie dei paesi europei che diedero luogo all’integrazione europea: il patto franco-tedesco, lungamente e positivamente motore dell’Unione, aveva anche questo scopo.

Dunque, è solo partendo da un tale contesto storico e politico – e non già da richiami ideologici e identitari al Manifesto di Ventotene – che si può cogliere la rilevanza e la portata del tornante storico che stiamo vivendo: dalla guerra imperialistica della Russia all’Ucraina e alla sicurezza europea alla svolta antieuropeista aggressiva della seconda Amministrazione trumpiana, che accelerano i tempi per costruire una difesa e deterrenza militare comune europea entro i prossimi cinque anni, nonché giustificano e rendono necessario accogliere – nel quadro di una riforma dell’Ue – il ritorno della Germania nella storia e il suo progetto di riarmo, in armonia e vincolo con il piano ReArm Europe di Ursula Von der Leyen.

In tale quadro, in Italia è bene che il ceto politico di governo e di opposizione la smetta di azzuffarsi sul Manifesto di Ventotene e provveda, piuttosto, a prendere atto del grave contesto geopolitico e strategico in cui versano il mondo e l’Europa. L’Italia non può dare l’immagine di essere timidamente impegnata nel nucleo forte e di guida di una nuova Ue insieme a Francia, Germania, Polonia e Spagna sul terreno della difesa europea, da un lato, e di limitarsi a un ruolo di osservatore passivo nel progetto della “Coalizione dei volenterosi”, dall’altro. In tal caso, l’effetto negativo e grave per l’Italia sarebbe devastante: perdere di credibilità in Europa e non riuscire a imporsi quale media potenza di riferimento – per l’interesse nazionale ed europeo – in un’area di naturale proiezione strategica come il Mediterraneo allargato.

Dunque, la maggioranza di governo ponga fine alle provocazioni sul Manifesto di Ventotene e l’opposizione eviti di ribattere alle medesime con alte grida di sdegno e passeggiate in barca o con vaporetto per l’isola. L’una e l’altra garantiscano, invece, nella distinzione dei ruoli e delle responsabilità, un fattivo ed unitario impegno per un’Unione della politica di difesa e sicurezza militare europea e maggiori investimenti, risorse e unità della Marina Militare italiana nel Mediterraneo.