“La società israeliana ha vissuto il 7 ottobre come una piccola Shoah. E per la società palestinese la guerra a Gaza è una nuova Nakba”, è l’analisi del prelato, “Dunque, in entrambi i campi, è la riapertura di ferite profonde nella coscienza dei due popoli. Ferite laceranti che avevano segnato per sempre la vita dei due popoli e che ora riappaiono come fantasmi minacciosi. Questo ha scatenato paura. E la paura può generare violenze incredibili, perché è una paura della messa a rischio della stessa propria esistenza. Da ciò è nata la violenza, la disumanità a cui abbiamo assistito in quest’anno: il rifiuto di riconoscere l’esistenza dell’altro per preservare la propria”.
“La società israeliana si era persuasa che il conflitto con i palestinesi fosse stato assorbito, assimilato. Ma qui torniamo al ruolo della politica, o meglio all’assenza della politica”, dice ancora Pizzaballa, “La politica non è stata capace di leggere la realtà e proporre soluzioni adeguate a una situazione che covava sotto la cenere. Che invece è poi esplosa nella maniera più violenta, più radicale, più odiosa possibile. E a cui si è trovata impreparata”.
Da parte loro, poi, “i palestinesi pagano il prezzo di molte cose. Sono il capro espiatorio di molte storie, di una macro politica medio-orientale che li ha sempre usati e mai amati. Compresi i paesi arabi. E i paesi occidentali, che li hanno sempre sostenuti a parole ma mai fino in fondo. E poi certamente pagano lo scotto di una leadership politicamente debole, divisa, e spesso non all’altezza. Alla fin fine sono sempre rimasti soli”. “Il conflitto in corso in Medioriente “sta diventando un conflitto regionale, che tutti dicono di voler evitare ma che nessuno sembra in grado di fermare. Faccio fatica a credere che possa esserci un’espansione ulteriore del conflitto, una vera guerra regionale del Medio Oriente. Anche se il rischio c’è. Piuttosto vedo un altro pericolo, che è quello di una mancanza totale di exit strategy. Tutte le guerre devono avere una conclusione politica, non militare”. Lo afferma, in una intervista ai media vaticani, il Patriarca di Gerusalemme dei Latini cardinal Pierluigi Pizzaballa.
“Si parla solo di strategie militari, non di politica. Nella convinzione che la pace può darsi solo con la vittoria sull’avversario. Cosa sarà Gaza dopo? Come sarà il Libano? Qualcuno ne parla? Ecco, io credo che queste siano le domande da farsi”, prosegue, “sono domande che dovrebbe porsi anche la comunità internazionale, per aiutare a trovare delle soluzioni. Altrimenti rimane solo una generica moral suasion alla pacificazione, per lo più inascoltata”.(AGI)
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