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M.O.: fenomeno ‘Pallywood’ irrompe nel conflitto

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Torna a farsi sentire un fenomeno chiamato ‘Pallywood’, neologismo nato dall’unione di due parole molto note: Palestina e Hollywood. La provocazione linguistica, usata soprattutto dai sostenitori di Tel Aviv, riguarda lo stravolgimento e la distorsione di tutti quei video e quelle foto che descrivono le atrocità compiute all’interno della Striscia. Un’operazione continua che rischia di oscurare la portata degli accadimenti, reali e tragici che, dal 7 ottobre, si stanno verificando a causa delle bombe israeliane. L’obiettivo di queste presunte fake news, secondo quanto riportato dalla Bbc, è infatti influenzare l’opinione pubblica, ingannare i media globali e minimizzare gli effetti del conflitto israelo-palestinese.
Durante i precedenti episodi (2014, 2018 e 2021) il termine Pallywood aveva sempre raggiunto un picco di 9.500 o 13.000 menzioni in un singolo mese su X (l’allora Twitter). Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, il numero di menzioni ha raggiunto un picco di 220.000, solo nel mese di novembre. Un’analisi di Bbc Verify, specializzata nell’analisi delle fake news, spiega come solo su X, il termine Pallywood abbia registrato il più alto picco nel numero di menzioni degli ultimi 10 anni. I giornalisti hanno scoperto che, tra coloro che hanno condiviso questo termine negli ultimi mesi, anche su Facebook e Instagram, ci sono funzionari israeliani, celebrità e blogger molto seguiti sia in Israele che negli Stati Uniti. Ci sono tre storie che raccontano le conseguenze e gli effetti di questo processo ingannatore che coinvolge entrambe le fazioni in gioco. La prima, avvenuta il primo dicembre, vede protagonisti una madre e un nonno di un neonato palestinese di cinque mesi, Muhammad Hani al-Zahar, mentre mostrano il corpicino senza vita, davanti a un ospedale di Gaza, dopo la ripresa delle ostilità. Ma quando il filmato della famiglia in lutto è diventato virale sui social media, molti post hanno falsamente affermato che Muhammad era in realtà una bambola. Queste affermazioni sono state amplificate in un articolo del Jerusalem Post, influente quotidiano israeliano, che ha mostrato un’immagine di Muhammad in rigor mortis affermando che quella poteva essere effettivamente una bambola. Dopo un’ondata di proteste, il giornale ha rimosso l’articolo dal suo sito web, affermando su X che il servizio “si basava su fonti errate”.
A novembre, invece, un video che mostrava trucco e sangue finto applicato sul volto di un attore bambino è stato pubblicato su X da Ofir Gendelman, portavoce del primo ministro israeliano per il mondo arabo. “Guardate voi stessi come fingono le ferite e come evacuano i civili, tutto davanti alle telecamere. Pallywood è stata smascherata di nuovo”, ha detto in un post che è stato visto milioni di volte prima di essere cancellato.
Peccato che il filmato, in realtà, apparteneva a ‘un dietro le quinte’ di un film libanese realizzato in omaggio agli abitanti di Gaza e pubblicato online in ottobre. Il regista Mahmoud Ramzi, che si è rivolto a Instagram per smascherare la fake news, ha detto alla BBC che la disinformazione ha avuto un effetto boomerang permettendo al suo lavoro di raggiungere un pubblico molto più vasto.
La terza storia dimostra come il fenomeno riguardi anche il mondo palestinese. Il video di un ragazzo israeliano, Rotem Mathias, 16 anni, e delle sue due sorelle, Shakked e Shir, è diventato virale sui social: Rotem racconta di aver assistito all’uccisione dei suoi genitori, da parte di uomini armati di Hamas il 7 ottobre, mentre si rifugiavano nella loro casa in un kibbutz vicino al confine con Gaza. Il video, costruito artificialmente, presenta spezzoni montati di interviste rilasciate alle emittenti statunitensi Abc e Cnn giorni dopo l’attacco; e afferma che in realtà si trattava di “attori” che mentivano sulla morte dei genitori e che faticavano a trattenere le risate davanti alle telecamere.
L’esistenza dei “crisis actors”, le persone che fingerebbero, anche dietro pagamento, di inscenare false testimonianze durante una tragedia o un disastro, è molto popolare tra i promotori delle teorie del complotto. In passato è stata utilizzata per negare alcuni eventi e attaccare le persone vittime di atroci sofferenze: dai genitori dei bambini morti nella sparatoria nella scuola di Sandy Hook negli Stati Uniti ai civili testimoni delle uccisioni a Bucha, in Ucraina. Il volume di questa ‘retorica disumanizzante’ diffusa durante la guerra israelo-palestinese ha però sorpreso anche coloro che quotidianamente hanno a che fare con tali contenuti. Eliot Higgins, il fondatore del sito investigativo Bellingcat, che ha coperto le guerre in Siria e Ucraina negli ultimi anni, ha detto alla Bbc che il volume di disinformazione nell’attuale conflitto in Medio oriente è “unico”. “Ho visto tanta tossicità e disinformazione, in particolare nel modo in cui vengono trattati donne e bambini, in Siria, Ucraina e in altri eventi.In questo caso però ci sono più persone che lo fanno”, più persone coinvolte nel processo. Gli esperti impegnati nei negoziati tra Hamas e Israele temono che questa mole di disinformazione possa avere effetti disumanizzanti sempre più gravi ma, soprattutto, avere un impatto sulle possibilità di ricucire le relazioni tra due comunità profondamente ferite. (AGI)