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L’ultimo volo del Challenger

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Una tragedia che poteva essere evitata, così lo Shuttle Challenger si portò via 7 astronauti.

L’incidente della navetta spaziale Challenger avviene il 28 gennaio 1986, durante la fase di decollo, a soli 73 secondi dal lancio della missione STS-51-L, causando l’esplosione del veicolo spaziale e, di conseguenza, la morte dei sette membri dell’equipaggio a bordo. La nave si disintegra sull’Oceano Atlantico lungo la costa della Florida alle 16:38 UTC. La sua totale distruzione inizia quando l’O-ring sul lato destro del razzo a combustibile solido (SRB) comincia a deteriorarsi improvvisamente.

Un pezzo di gomma fatale

Il guasto dell’O-ring causa una rottura della guarnizione del razzo, consentendo ai gas sotto pressione di fuoriuscire e attingere il serbatoio del combustibile esterno, causando il fatale cedimento strutturale del serbatoio esterno.

La fatale reazione a catena

Le forze aerodinamiche distruggono completamente e rapidamente la nave. Il disastro comporta un’interruzione di 32 mesi del programma SHUTTLE, e la creazione della Commissione Rogers, una commissione speciale nominata dall’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan per indagare sull’incidente.

La Commissione Rogers indaga, scoprendo diverse situazioni che erano state fondamentali nel contribuire all’incidente.

La burocrazia contro la tecnologia

Gli amministratori della NASA sapevano che la compagnia di motori a stato solido, la Morton Thiokol, aveva dei relatori interni in cui si ipotizzava un possibile fallimento produttivo negli O-ring fin dal 1977, ma che non erano mai stati capaci (o interessati?) a risolvere correttamente il problema. I responsabili ignorano gli avvertimenti degli ingegneri sui pericoli del lancio dovuti alle basse temperature di quella mattina, non riuscendo a segnalare questi rischi e preoccupazioni tecniche ai loro superiori.

La caduta

La cabina dell’equipaggio e molti altri frammenti furono recuperati sul fondo dell’oceano dopo una lunga ricerca nelle operazioni di recupero del relitto.

Il momento esatto della morte dell’equipaggio è sconosciuto, una ipotesi discussa dalla commissione dice che l’equipaggio è sopravvissuto alla prima esplosione della navetta. Tuttavia, lo Shuttle non aveva un sistema di fuga e l’impatto della cabina dell’equipaggio con la superficie dell’oceano è così violento che sarebbe molto difficile per loro sopravvivere. Nel lunghissimo relatorio si ipotizza che, la violenta rotazione della cabina durante la caduta abbia provocato lo svenimento degli astronauti, ma sembra più che altro una storia pietosa per nascondere al pubblico l’orribile morte dell’equipaggio.

La triste verità

Nelle immagini, in realtà la cabina rimane quasi intatta, e non mostra nessuna rotazione, tra l’esplosione e lo schianto nella superficie dell’oceano passano degli interminabili 2 minuti e 45 secondi.

Le investigazioni sui pietosi resti recuperati comprovarono che l’equipaggio era vivo, almeno in parte, fino allo schianto finale. Alcune procedure, come l’attivazione dell’ossigeno supplementare, erano state attivate dopo l’esplosione, funzione possibile solo con l’intervento degli astronauti.

Ciò che la commissione Rogers non rivela è che la nave non fu mai certificata per operare a basse temperature. Gli O-ring, così come molti altre componenti importanti, non avevano dati testati per supportare le aspettative di un lancio ben riuscito in tali condizioni.

Dalla stazione meteorologica della NASA, dichiarano per voce del responsabile John Weems:

“Avevamo preparato una previsione per il giorno successivo. Sapevamo che i venti si sarebbero allentati, ma la vera preoccupazione era per il freddo intenso che c’era nella zona. Abbiamo preparato una previsione di 12 ore da presentare alla gestione della missione, con temperature di -4,4ºC sulla piattaforma per la mattina successiva “.