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L'ultima intervista a David Sassoli: i vaccini, il green pass e la solidarietà europea

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AGI – David Sassoli aveva voluto che il Parlamento europeo tornasse a riunirsi in presenza, dopo 15 mesi di sessioni “online”, lo scorso giugno. AGI lo aveva intervistato in quella occasione nel suo bell’ufficio di Strasburgo. Sorridente come sempre, il presidente del Parlamento europeo era particolarmente soddisfatto per l’adozione, durante quella sessione, del “certificato digitale sanitario”, quello che oggi ci accompagna ogni giorno e che chiamiamo “green pass”.  Riproponiamo quella intervista

Chi sarà il primo Paese ad adottare il certificato digitale?

Me lo chiedo anche io. Sono soddisfatto per l’adozione a stragrande maggioranza di questo strumento molto importante che uniforma le regole sanitarie dei Paesi Ue e crea le condizioni per una mobilità più sicura. Bisognerebbe trovare il modo, una volta entrato in funzione nello spazio europeo, di trovare collaborazioni anche al di fuori: potrebbe essere utile nelle zone del Mediterraneo, come prosecuzione di questa esperienza 

Un’ipotesi che giunge in un momento di dibattito internazionale sul tema della reciprocità delle aperture e della mobilità.

Anche se è chiaro che è legato alla pandemia e a questa stagione così difficile può essere uno strumento che omogenizza le regole sanitarie dei singoli Paesi che ancora sono diverse le une dalle altre, le uniforma e crea le condizioni per una mobilità più sicura. Oltre che il turismo ne trarrà vantaggio un settore strategico come l’autotrasporto. Il lavoro che è stato fatto è molto positivo, abbiamo tolto tutte le diffidenze che potevano far credere a una discriminazione: lo strumento non ha nessun vincolo. Ieri dopo tutte le negoziati con Commissione e Consiglio, è stato votato in aula con, credo, 600 voti su 700. I triloghi (trattative fra le tre istituzioni Ue) stanno procedendo molto bene, e il Parlamento sta ottenendo ottimi risultati

Che ruolo ha avuto l’Ue nella produzione dei vaccini?

Senza i finanziamenti alla ricerca biomedica, non avremmo il vaccino anti Covid. Lo rivendico con orgoglio e penso una cosa: non c’era il vaccino: se ora c’è, il motivo è che una linea di fondi europei ha continuato a finanziare la ricerca di BioNTech sull’RNA. Abbiamo il vaccino perché l’Europa, nonostante i tagli delle stagioni precedenti sulla ricerca, ha mantenuto attivi i finanziamenti. Questo vuol dire che non bisogna tagliare sulla ricerca perché significa tagliare sul futuro. Ed è il motivo per cui tutti gli strumenti di ripresa hanno abbondanza di risorse da destinare alla ricerca, a protezione della nostra società e dei cittadini.

Ma allora a cosa è stato dovuto il ritardo nell’inizio della campagna Ue?

È stato dovuto a una partenza rallentata della produzione industriale.”Forse l’industria non ha creduto alla ricerca. Forse non sono stati pensati piani che ritenessero che si poteva arrivare al vaccino così rapidamente? In compenso, però, per fortuna tutti i 27 Paesi si sono resi conto che non era il caso di farsi la guerra l’un l’altro per procurarsi i vaccini ed è stato dato all’Ue il mandato di trattare per tutti. Altrimenti sarebbe stata la guerra dei vaccini tra i paesi più forti e quelli più deboli. Il processo è stato reso complesso dal fatto che la sanità è di competenza nazionale. Quindi abbiamo dovuto dotare l’Ue di basi giuridiche, di strutture, di professionalit: la trattativa sui vaccini non è stata una passeggiata. Comunque è sempre il punto di partenza che conta per capire quello di arrivo, altrimenti è tutto decontestualizzato: siamo partiti senza vaccini e già dopo 10 mesi, non due anni, li avevamo. Quanto al confronto con il Regno Unito, questa non è una gara. La nostra dimensione è di 27 Paesi con 500 milioni di abitanti, rispetto dei protocolli Ema, ma almeno noi non avevamo la variante inglese: nel primo periodo, i lockdown e i sacrifici dei cittadini in Italia e negli altri Paesi hanno consentito di non sviluppare varianti. È un caso? Sarà la scienza a parlare”. 

Cosa risponde a chi dice che l’Ue ha usato i vaccini come gadget politici?

L’Europa è molto fiera di avere esportato in 90 Paesi la metà dei 600 milioni di dosi di vaccino. Se gli altri grandi produttori di vaccini avessero avuto lo stesso comportamento, oggi il mondo sarebbe più sicuro. Perché oggi non lo è, e nessuno pensi di essere al sicuro se gli altri sono esposti. In Europa c’è stato uno sforzo di solidarietà unico, mentre altri Paesi hanno vietato l’export e usato i vaccini come gadget politici. L’Europa questo non l’ha fatto.

 

Source: agi


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