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L’ultima di Davigo: querela «alla cieca»

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Proprio così: «sorprendente». Il comportamento di Piercamillo Davigo, già pm di punta del pool Mani Pulite ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, viene definito in questi termini in una interessante sentenza depositata a Milano, a conclusione dello scontro frontale che ha opposto l’ex magistrato a una delle firme più importanti del giornalismo italiano. Davigo aveva querelato per diffamazione aggravata Paolo Mieli, già direttore del Corriere della sera e tutt’ora grande firma del quotidiano milanese, per un articolo sul caso Palamara. In quell’articolo Mieli citava e riassumeva le dichiarazioni di Luca Palamara in una trasmissione televisiva. Davigo aveva querelato Mieli accusandolo di avere forzato, distorto le frasi di Palamara andate in onda. Ebbene: ora si scopre che Davigo manco sapeva cosa avesse detto davvero Palamara, per il semplice motivo che la trasmissione non l’aveva vista. Mai, neanche in differita. Eppure aveva querelato Mieli.

Lo scorso 28 giugno il giudice milanese Luigi Varanelli aveva assolto Mieli «perchè il fatto non costituisce reato». Ora arrivano le motivazioni della assoluzione. Che, per ben due volte, danno conto dello stupore del giudice davanti al comportamento dell’illustre ex collega.

Tutto, ricorda la sentenza, nasce da una frase dell’articolo scritto da Mieli pochi giorni dopo la apparizione tv in cui Palamara parlava delle nomine di importanti procuratori della Repubblica avvenute con il suo intervento: «Talvolta, ha lasciato intendere, d’accordo con l’uomo di maggior rilievo (per prestigio, notorietà e forza acquisita) nella magistratura italiana: Piercamillo Davigo. Quantomeno con qualcuno della sua corrente». Non l’avesse mai scritto: Davigo si indigna, «queste porcherie non le ho mai fatte», e corre dall’avvocato a denunciare Mieli.

Chiamato a giudicare il giornalista, il giudice Varanelli si rende conto subito che Mieli non ha esposto idee sue, ma ha riferito quanto detto da Palamara: quindi il succo del processo è verificare se lo abbia riferito correttamente. Nell’aula viene così proiettato il video della trasmissione di Massimo Giletti su La7. Scrive ora Varanelli nelle motivazioni: «Il tribunale ha invitato il querelante a specificare quale fosse stato il passaggio ritenuto diffamatorio. Senonchè, continuando a ribadire di essere stato sempre con le parole e con i fatti assolutamente estraneo e fiero avversario di ogni sorta di deriva correntizia, il Davigo ha soprendentemente risposto di non avere mai visto prima di allora – ossia della visione in aula – la trasmissione del Giletti (…) il teste ha ripetuto a specifica domanda che l’imputato Mieli avesse frainteso in malafede le parole dell’intervistato, perchè egli era notoriamente estraneo a ogni logica spartitoria. Il tribunale lo ha ripetutamente invitato a specificare quale passaggio dell’articolo lo avesse leso in particolare. Del tutto sorprendentemente il Davigo ha risposto di non avere mai visto prima la trasmissione e di essersi basato su quanto riferitogli dall’avvocato».

Cioè: Davigo accusa un giornalista di avere commesso un delitto accusandolo di avere travisato dichiarazioni rese in una trasmissione che però Davigo non ha sentito. C’è da sperare che quando faceva il pubblico ministero non usasse lo stesso sistema di valutazione delle prove.

(Comunque Davigo è in buona compagnia. Anche il magistrato della Procura di Milano che ricevette la sua querela decise di mandare Mieli sotto processo senza neanche guardare il video)

Fonte: Il Giornale