di Paola Venanzi
Il 20 maggio 1999 i brigatisti rossi Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce uccidono, in via Salaria a Roma, Massimo D’Antona . Gli scaricano addosso 9 colpi, il colpo di grazia direttamente al cuore. Galesi muore nel 2003 durante un conflitto a fuoco, la sua compagna Lioce viene catturata e condannata all’ergastolo nel 2005. Perché nel mirino delle nuove BR finisce Massimo D’Antona? D’Antona era un giurista, un docente di diritto del lavoro all’università “La Sapienza” di Roma, un consulente del lavoro consigliere dell’allora ministro Antonio Bassolino, autore di saggi, ma era anche colui che parlava e si batteva per la privatizzazione della Pubblica Amministrazione. Artefice di quel “Patto per l’occupazione e lo sviluppo” che le Br, nel documento in cui rivendicano l’omicidio, definiscono “…progetto politico neo-corporativo, dominio statuale…” mentre a lui dedicano parole come “…controrivoluzionario e antiproletario…”
Sono passati undici anni da quella mattina e la moglie, oggi onorevole del Partito Democratico, Olga D’Antona, rivendica il lavoro di suo marito e denuncia: “ Quello che non hanno fatto le Brigate Rosse allora, l’ha fatto Brunetta con questa politica. Ha completamente vanificato tutto il lavoro di riforma, di modernizzazione e di partecipazione dei lavoratori nel Pubblico impiego”.
Fonte: telespazio1.it