No questa volta non avremmo preferito non vedere, continuando a sperare a occhi chiusi, per abitudine, in un futuro migliore del presente. «Sono venuta a sapere molte cose che non volevo sapere», scrive in Una madre Diane Foley parlando del figlio decapitato dall’isis. È il momento di avere due certezze, in quest’epoca nella quale convivono stranamente idee appannate e radicalismi feroci. In primo luogo che le fiamme della «notte nera» di Amsterdam, come l’ha definita Femke Halsema, sindaca della città olandese, rischiano di bruciare il mondo. E in secondo luogo che quanto è accaduto non «può» accadere. Dire che non può è qualcosa di più che dire che non deve. È in gioco il concetto stesso di umanità.
Se la storia è fatta di simboli, oltre che di tragedie, i fatti di Amsterdam sono un appuntamento con la memoria europea. Nel romanzo di questi due secoli le coincidenze richiedono una narrazione parallela. La caccia agli ebrei ha invaso le strade nella città dove una ragazza, Anna Frank, scriveva il suo diario nascosta in una soffitta per tentare di sopravvivere allo sterminio. Era la vigilia dell’anniversario di un’altra notte, quella dei Cristalli, in cui la furia nazista si scatenò con determinazione in un Continente schiacciato. La caccia agli ebrei ha invaso le strade con il suo corredo terribile di violenze, interrogatori, punizioni, insulti, devastazioni.
Che ci siano stati episodi di intolleranza anche dall’altra parte, compiuti dai tifosi israeliani del Maccabi, aggiunge strazio all’orrore.
Avere certezze vuol dire anche che sappiamo quale sia il nemico da battere. È il radicalismo. La sua crescita — non solo nelle società ma anche nelle leadership, spesso travestito con i panni dell’antipolitica — è il fenomeno più massiccio di questi anni, capace di provocare mutamenti che saranno anche più determinanti nel futuro più vicino. Ne abbiamo visto i segnali, li abbiamo sottovalutati. Il deficit di solidarietà seguito al massacro del 7 ottobre — prima, efferata pagina di questa sconfitta collettiva che stiamo vivendo, provocata da terroristi spietati, primi a non credere nelle speranze della loro popolazione senza patria — avrebbe dovuto fare capire che il mondo non era quello che credevamo che fosse. La sistematica distruzione di Gaza nell’operazione iniziata da Israele per eliminare Hamas ha fatto salire la febbre, alimentando un odio implacabile che ha sopraffatto tutto con le sue grida. Mettendo in minoranza l’indignazione.
In questo scenario l’antisemitismo si è dimostrato una malattia sempre più aggressiva. Gli sforzi di alcuni governi — si pensi per esempio alla Germania — non sono riusciti ad incidere in maniera decisiva. Nelle periferie di molte città europee si è mischiato alla rabbia, ha trovato terreno fertile nei fallimenti delle politiche di integrazione. Al di là degli episodi di terrorismo «classico» o provocati da «cani sciolti», gli atti di violenza e di odio sono ormai possibili in qualsiasi momento. Inoltre, purtroppo, in nessun Paese europeo si è percepito il reale peso della propaganda anti-ebraica — ispirata da sentimenti nostalgici e razzisti — legata all’avanzata dei gruppi di estrema destra.
Oltre a rappresentare un’offesa e uno scandalo per le coscienze, la notte nera antisemita di Amsterdam svela molte contraddizioni irrisolte. È significativo che sia avvenuta in un Paese come l’olanda dove il governo recentemente costituito si è caratterizzato per una dura linea anti-immigrati. All’attività declamatoria non è corrisposta una capacità reale di controllo e prevenzione. Quello che è accaduto, però, è un’amara lezione per tutti. Nessuno escluso.
Fonte: Corriere