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Lo sviluppo industriale in Sicilia: più danni che benefici

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La mera illusione dei vantaggi che la Sicilia avrebbe potuto ottenere attraverso la creazione di un rilevante numero di posti di lavoro e l’incentivazione di un ragguardevole indotto, è naufragata nel tempestoso mare degli investimenti finalizzati alla pura convenienza speculativa e degli inqualificabili e colposi ritardi nella realizzazione delle indispensabili infrastrutture

di Augusto Lucchese

Dagli anni Cinquanta alla fine del secolo scorso è stata ingente l’entità dei finanziamenti agevolati e delle sovvenzioni a fondo perduto accordati dallo Stato, dalla ex Cassa per il Mezzogiorno, dagli Istituti di Credito ordinari, dall’IRFIS, alle industrie del Nord Italia per insediamenti produttivi nel Mezzogiorno. Si dice che abbiano toccato la vetta di circa 130 miliardi delle vecchie lire.

Ciò non sarebbe potuto accadere se non vi fosse stato l’assenso dei vari apparati politici nazionali, regionali e locali che, per inconfessabili motivazioni o per tornacontismo elettorale, non hanno saputo (o voluto !) guardare lontano e non hanno messo in conto le prevedibili conseguenze, poi puntualmente verificatesi in misura pressoché catastrofica e forse irreversibile.

La mera illusione dei vantaggi che la Sicilia avrebbe potuto ottenere attraverso la creazione di un “rilevante numero di posti di lavoro” o attraverso l’incentivazione di un ragguardevole indotto, è naufragata nel tempestoso mare degli investimenti finalizzati alla pura convenienza speculativa e degli inqualificabili e colposi ritardi nella realizzazione delle indispensabili infrastrutture. Vedi, ad esempio, l’odierno stato comatoso della vetusta viabilità ordinaria, delle antiquate autostrade siciliane, ad una rete ferroviaria che rimane antidiluviana malgrado l’operazione “Freccia bianca”, tutta di facciata.

Le attuali difficoltà delle aziende della raffinazione petrolifera, il ridimensionamento del comparto chimico, le drastiche riduzioni degli organici col ricorrente ricorso agli “ammortizzatori sociali”, la crisi e la dismissione di parecchie attività dell’indotto, hanno falcidiato il lavoro dipendente ed hanno posto fine al bel sogno della piena occupazione e dello sviluppo economico.

Si sono perse per strada gran parte delle opportunità che avrebbero dovuto compensare, oltre che i gravi danni arrecati all’ecosistema ambientale, la sopravvenuta impossibilità di utilizzare in maniera più congeniale le stupende aree a vocazione turistica o quelle, fertilissime, da sempre dedicate a produzioni agricole di qualità. Un autentico patrimonio “usurpato” e devastato dall’affaristico mondo industriale.

Più il tempo passa e più diviene evidente il degrado di tali aree ed aumentano i rischi per la salute dei cittadini, che hanno visto diffondersi, nei territori ove insistono le industrie inquinanti, malattie oncologiche, respiratorie, malformazioni infantili, disturbi neurologici.

Per via di un’atavica distorsione mentale, oltre che di ignoranza storico culturale (la memoria ci proietta ben oltre i tempi dell’Impero romano), in taluni ambienti pseudo evoluti s’è tuttora propensi a considerare la Sicilia alla stregua di una colonia. Qualche lustro addietro, in forza di tale convinzione, i “generosi (?) magnati” del Nord (autentici voraci volponi), ottenute le necessarie “concessioni” (non è difficile supporre come), hanno rifilato ai siciliani tutto quel lerciume industriale che nessuno avrebbe mai osato localizzare lungo le spiagge della riviera ligure, in Versilia, nel riminese, o lungo le sponde del Po e dell’Adige. Qualsivoglia insediamento del genere avrebbe incontrato la sicura opposizione delle amministrazioni locali interessate.

Anzi, a fronte di un tasso d’inquinamento di gran lunga inferiore a quello registrato nelle aree industriali siciliane di Augusta-Priolo, Gela e Milazzo, è stato avviato, con grande intervento di capitale pubblico, lo smantellamento di alcuni impianti ancora esistenti nella zona dell’alto adriatico (Porto Marghera, in particolare) e nell’entroterra padano.

Il pietoso scenario del comprensorio di Augusta-Priolo, il degrado ambientale di talune aree costiere di Gela e Milazzo, i residui gassosi che sistematicamente ammorbano l’aria e annebbiano il cielo, sino a fare scordare cosa fosse l’azzurro, gli scarichi velenosi che distruggono flora, fauna e pesca, fanno pensare che in Sicilia, invece, il misfatto è stato consumato sotto gli occhi poco attenti o collusi del mondo politico nazionale e regionale e delle Istituzioni ministeriali di competenza. Anche l’attentato alla salute pubblica è divenuto un fatto inequivocabile e drammatico.