Strasburgo, 13 settembre: in occasione del discorso annuale sullo Stato dell’Unione, la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen si è dichiarata pronta a “difenderci dalle pratiche sleali” che la Cina è accusata di attuare nel settore delle auto elettriche, definito “cruciale per l’economia pulita e di enorme potenziale in Europa”. Dopo mesi di pressioni da parte dei governi comunitari, tra cui svetta la Francia di Macron, l’esecutivo UE si appresta ad avviare un’indagine sui sussidi che la Repubblica popolare avrebbe concesso ai produttori nazionali. Mentre Pechino si prepara a rispondere alle accuse di dumping e concorrenza sleale, l’Europa si trova divisa sull’ipotesi di imporre dazi più alti per le automobili importate.
La Cina avanza inarrestabile sulle quote di mercato europee
Secondo diversi analisti, entro la fine del decennio il 60% dei veicoli elettrici venduti al mondo potrebbe essere di produzione cinese, che si tratti di marchi locali o internazionali con centri produttivi in Cina. Un dato che assume rilevanza ancor maggiore, dopo il confermato stop alla vendita di auto a benzina e diesel per il 2035, che cambia le sorti dell’elettrico in UE. Diverse case d’auto straniere hanno già avviato lotti di produzione nelle Gigafactory del Gigante asiatico, tra cui Tesla, Volvo, Polestar e BMW. A fare molta gola sono di fatto gli accattivanti costi medi dell’elettrico cinese: 31.829 euro contro i 55.281 euro della produzione europea e i 63.864 di quella statunitense. Secondo le stime di Jato Dynamics, i produttori cinesi di veicoli elettrici possiederebbero un vantaggio di costo di circa il 20% rispetto ai rivali più affermati, contrariamente ai competitors in Europa, dove negli ultimi sette anni il costo dell’elettrico è aumentato del 27%.
I brand cinesi rappresentano ad oggi il 45% delle vendite globali, spinti per la maggiore da una vastissima domanda interna. Forti del proprio vantaggio competitivo, produttori tra cui Byd, Nio e Xpeng stanno puntando a dominare anche il mercato europeo, ove le vendite sono già aumentate del 55%. Secondo la società di consulenza automobilistica Inovev, l’8% dei veicoli elettrici venduti in Europa è di marchio cinese; una quota ancora marginale, seppur in aspettativa di raddoppio entro il 2025.
Le forti accuse di Von der Leyen giungono peraltro a poca distanza dalla fiera dell’automobile Iaa Mobility di Monaco dove, secondo quanto ufficializzato dagli organizzatori, ben 4 marchi su 10 erano di provenienza asiatica. Nel mercato europeo, reso ancor più fertile dalle politiche del Green Deal, la competizione per assicurarsi quote consistenti è ormai elevatissima.
Cosa vi è alla base del dominio commerciale cinese
Ciò di cui è accusata Pechino, e su cui si svolgerà l’inchiesta presieduta da Mario Draghi, è l’aver tenuto tali costi artificalmente bassi servendosi di sussidi statali e pratiche distorsive del mercato, non accettate su suolo europeo. Per non mettere le industrie in una posizione di svantaggio, l’Unione sta valutando quindi la possibilità di aumentare l’aliquota standard europea sulle importazioni di automobili, ad oggi fissata ad un 10% piuttosto conveniente.
Non sarebbe la prima volta in cui assistiamo ad un evento del genere. Alla fine del 2022, erano in vigore in UE 177 misure di difesa commerciale, di cui 151 antidumping e 25 antisovvenzioni. Esse sono dirette prevalentemente a limitare le importazioni che danneggiano l’industria manifatturiera, come i prodotti laminati in alluminio, su cui dall’ottobre 2021 grava un dazio antidumping di aliquota tra il 14,3% e il 24,6% (poi sospeso temporaneamente per il periodo di ripresa post-COVID). L’inchiesta appena avviata rappresenta di fatto la prima nel suo genere indirizzata a beni di fascia più alta.
Nel gergo economico, il dumping è una pratica commerciale predatoria che consiste nel vendere prodotti in un mercato estero ad un prezzo inferiore rispetto al prezzo di vendita o di produzione nel mercato di origine. In tal senso, è possibile risultare estremamente competitivi anche nella conquista di nuovi mercati dove è già presente una forte concorrenza locale. Le norme antidumping a tutela della libera concorrenza sono state disciplinate dapprima nell’ambito del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), e poi dal WTO. In particolare, è proprio il Protocollo di adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio a trattare nel dettaglio la questione, concedendo al Paese una durata massima di 15 anni entro cui dover concretizzare il passaggio ad un’economia di mercato. Al momento del suo ingresso nel WTO, la Cina è stata infatti considerata un’economia in via di sviluppo e, in quanto tale, avente diritto ad un periodo di transizione in cui poter applicare tariffe doganali inizialmente più alte. Nel tempo però, il Paese ha incrementato significativamente la sua competitività tecnologica e produttiva, diventando una potenza commerciale globale.
Di fatto, la Cina ha acquisito una posizione dominante nella produzione di veicoli elettrici grazie a una serie di vantaggi strutturali e politiche governative mirate. A partire dal 2001, la tecnologia dei veicoli elettrici (EV) è stata introdotta come progetto di ricerca scientifica prioritaria nel Piano quinquennale cinese. Questo impegno è stato ulteriormente rafforzato nel 2007 con la nomina di Wan Gang, ingegnere automobilistico e appassionato di veicoli elettrici, a Ministro cinese della Scienza e della Tecnologia. Da allora, lo sviluppo dei veicoli elettrici è stato una priorità costante nella pianificazione economica nazionale cinese.
Il governo cinese ha poi investito oltre 200 miliardi di RMB (circa 29 miliardi di dollari) in sussidi e agevolazioni fiscali dal 2009 al 2022, spingendo le vendite di veicoli elettrici a oltre 6 milioni di unità, che rappresentano più della metà delle vendite globali di veicoli elettrici. Ciò ha permesso alle aziende cinesi di continuare a migliorare nella qualità degli investimenti, e ai consumatori di spendere meno per acquistare un veicolo elettrico.
Non solo concorrenza sleale, ad allarmare l’UE è lo svantaggio competitivo
Alla base delle significative sfide a cui l’UE sta andando incontro nel settore delle auto elettriche non vi è solamente il presunto dumping da parte della Cina, ma anche e soprattutto il rischio di uno svantaggio competitivo interno. Tale svantaggio deriva da vari fattori, tra cui la resistenza culturale al cambiamento green. Alcuni paesi, come la Germania, il Regno Unito e la Francia, hanno registrato un numero maggiore di immatricolazioni di auto elettriche, mentre altri, come l’Italia, sono rimasti sotto la media europea. Peraltro, la mancanza di capillarità dei punti di ricarica sul territorio rappresenta una barriera significativa alla diffusione delle auto elettriche.
La produzione di batterie rimane inoltre altamente squilibrata, con la Cina in posizione nettamente dominante; aspetto di cruciale importanza, dato che le batterie possono rappresentare circa il 40% del costo di un veicolo elettrico. Anche quando la produzione viene effettuata all’estero, le aziende cinesi continuano a dominare il processo, portando ad implicazioni significative per la catena di approvvigionamento globale dei veicoli elettrici e per la competitività delle aziende in altri paesi.
Il settore automobilistico europeo, fondamentale per l’economia dell’Unione con un peso del 7% sul PIL e oltre 60 miliardi di investimenti annuali in ricerca e sviluppo, sta vivendo un momento di trasformazione significativo. ACEA, l’Associazione Europea dei Costruttori di Autoveicoli, sottolinea la necessità di una strategia coordinata a livello europeo per affrontare questa rivoluzione mobilitativa. La previsione è che nel 2024 le auto elettriche raggiungeranno il 20% del mercato, mostrando un incremento significativo rispetto al passato. Tuttavia, l’industria europea si trova ancora nel mezzo di una trasformazione profonda, con la necessità di investimenti massivi per rimanere competitiva.
Mentre l’UE affronta la questione dumping, rimane fondamentale considerare anche i propri svantaggi interni nel settore. Ciò richiede un approccio olistico che includa non solo misure protezionistiche, ma anche politiche interne per superare le barriere culturali, informazionali e infrastrutturali.
Francia e Renault appoggiano la Von der Leyen, ma la Germania invoca più cautela
Le parole della Presidente sono state accolte da un clima di incertezza. Già da tempo il Commissario francese al mercato interno e i servizi, Thierry Breton, si era detto allarmato dinanzi alla concreta possibilità di una dipendenza totale a livello industriale e tecnologico dal Dragone asiatico. Anche il Ministro dell’Economia Le Maire ha condiviso le accuse lanciate dalla Von der Leyen, affiancato dal Ceo di Renault Luca De Meo, che al Salone di Monaco ha ammesso il preoccupante ritardo a livello tecnologico e di know-how che l’UE ha accumulato negli anni.
La linea dell’Eliseo ha prevalso sulla diplomazia tedesca, timorosa delle conseguenze di una guerra commerciale con la Cina. Di fatto, la posta in gioco è decisamente alta per case d’auto come Volkswagen, la quale detiene oltre 40 siti produttivi in Cina e ben due joint ventures, Shanghai Volkswagen e Faw-Volkswagen, che insieme fatturano quasi 5 miliardi di euro e impiegano un personale operativo di 100.000 dipendenti. Altrettanto significativa è la presenza di BMW, anch’essa coinvolta in contratti di joint venture (BMW Brilliance Automotive Ltd.) e diversi partenariati strategici per lo sviluppo di nuove tecnologie nell’automotive. I francesi sono al contrario meno attivi nella nazione, e dunque non subirebbero i danni di eventuali contromisure dei vertici UE.
Nondimeno, se il cancelliere Scholz si è definito non preoccupato per le sorti della produzione automobilistica tedesca, la leader dei Verdi e ministra degli affari Esteri Annalena Baerbock ha sollecitato l’industria nazionale a “ridurre la dipendenza dai singoli mercati”, alludendo ai consistenti rapporti sia con la domanda cinese (quasi un terzo della richiesta totale di automobili tedesche) che con i fornitori di materie prime e componenti.
La reazione di Pechino
In risposta alle dichiarazioni di Von Der Leyen, la Cina ha emesso un avvertimento alla Commissione Europea, esprimendo preoccupazione per il potenziale danneggiamento delle relazioni commerciali e un aumento dei prezzi per i consumatori di auto europei. La Camera di Commercio dell’UE in Cina ha invitato la Commissione a non adottare “strumenti commerciali unilaterali” per bloccare i veicoli elettrici cinesi nell’UE e aumentarne di conseguenza i costi. Le azioni dell’UE potrebbero di fatto avere ripercussioni negative non solo sul commercio bilaterale, ma anche sulla competitività e l’accessibilità dei veicoli elettrici in Europa.
Le tensioni tra la Cina e l’Unione Europea nel settore dei veicoli elettrici segnano un momento critico nelle relazioni commerciali e diplomatiche internazionali. Al G20 summit a Nuova Delhi, il Premier cinese Li Qiang ha ribadito l’importanza dell’unità e cooperazione tra Cina ed Europa, sostenendo che la prevenzione dei rischi non dovrebbe ostacolare la collaborazione. E’ dunque lampante la necessità di un delicato equilibrio tra la tutela degli interessi economici nazionali e la necessità di mantenere stabili relazioni commerciali internazionali.
Le decisioni future dell’UE e le risposte della Cina saranno fondamentali per determinare il panorama del mercato dei veicoli elettrici e l’equilibrio commerciale globale. Tale situazione è manifesto della crescente complessità e interdipendenza delle economie mondiali, in cui le scelte politiche ed economiche di una regione possono avere effetti a catena su scala globale. In questo contesto, il dialogo costruttivo e la collaborazione tra le nazioni rimangono essenziali per navigare con successo i nuovi scenari di mercato e promuovere un futuro sostenibile e competitivo nell’industria automobilistica globale.
Crediti foto: “Close-up of an electric car charging. Traffic lights in a blurry background” (Ivan Radic) via Flickr