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Lisbona e le altre capitali (italiane) della street art

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È tra le più interessanti, popolari e diffuse esperienze artistiche del nostro tempo. La street art è fatta di opere che non stanno in musei né in gallerie, ma si trovano un po’ ovunque: architetture abbandonate, facciate di palazzi, autobus, treni, tunnel di metropolitane. Si tratta di interventi fondati sulla ripresa di alcune tecniche antiche (affresco e bassorilievo), sulla centralità del colore, sul ritorno della decorazione e dell’ornamento. Drammaturgie dominate da sagome imponenti, riconoscibili, che ricercano un’empatia immediata: apprezzamento o fastidio. Affreschi che, come una seconda pelle, aderiscono a zone dimenticate delle nostre città. Segni di vitalità e di speranza, che vogliono rendere evidenti possibili cambiamenti urbanistici. Attraverso l’arte. Interventi corsari, il cui fine è innanzitutto politico: trasgredire ogni pianificazione; violentare le regole del decoro; riscoprire il diritto alla bellezza anche dove la bellezza sembra non avere dimora; alimentare, in chi vive in un quartiere, spirito identitario, senso delle radici, coscienza civile, consapevolezza di appartenere a una comunità. Infine, compiere un’ardita forma di riestetizzazione della polis. Che così si fa spazio fluido, praticato.

In Italia questa ondata colorata è arrivata un po’ ovunque. Tra le capitali della «nostra» street art, Roma, Milano, Napoli, Bologna. Ma anche Bari e Palermo.

Bari: con il permesso delle autorità locali, quaranta spray artist hanno operato nel sottopasso di via Brigata, determinando le (prevedibili) reazioni dei residenti e l’intervento dei vigili.

Palermo: un gruppo di giovani epigoni di Banksy ha «adottato» le villette abbandonate di Pizzo Sella, edificate selvaggiamente alla fine degli anni Settanta con la complicità di Vito Ciancimino. La cosiddetta «collina del disonore» è stata trasformata così nel Pizzo Sella Art Village. Un contesto da ghost town – fatto di appartamenti devastati, di mura ferite, di finestre violate – è diventato un originale museo d’arte pubblica, che ha il valore innanzitutto di un memento: un modo per ricordare anni dominati dal terribile intreccio tra politica, mafia, corruzione e abusivismo. Due esperienze che, nel sottrarsi a ogni incivile vandalismo, appaiono sorrette da una sincera tensione militante.

Attraverso le loro sgrammaticature dissonanti, i writer di Bari e di Palermo scelgono di agire in alcune zone dimenticate delle loro città, afflitte da un profondo senso dell’emarginazione. Inoltre, nell’affidarsi al potere dell’immaginazione pittorica, mirano a promuovere il riscatto ambientale e culturale di quelle aree anonime e disagiate. I loro quadri urbani: tentativi per reagire al degrado. E per favorire la (possibile) rinascita di periferie violente, disumane.

Fonte: La Lettura