Di Ilaria Romeo
Un calzolaio e un pescivendolo. Due anarchici, due italiani. Li condannano a morte negli Stati Uniti, dopo sette anni di udienze, il 9 aprile 1927
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti sono accusati di omicidio, ma non hanno ucciso nessuno[1]. Vengono giustiziati da innocenti il 23 agosto del 1927 nel penitenziario statunitense di Charlestown.
Il processo
“Io non augurerei a un cane o a un serpente – affermava Vanzetti rivolgendosi per l’ultima volta al giudice – alla più bassa e disgraziata creatura della Terra. Non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano (…) se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già”.
“La giuria – diceva – ci aveva odiati fin dal primo momento perché eravamo contro la guerra. La giuria non si rendeva conto che c’è della differenza tra un uomo che è contro la guerra perché ritiene che la guerra sia ingiusta, perché non odia alcun popolo, perché è cosmopolita, e un uomo invece che è contro la guerra perché è in favore dei nemici. Noi non siamo uomini di questo genere. Noi crediamo che la guerra sia ingiusta e ne siamo sempre più convinti”.
La verità
“Nel caso di Sacco e Vanzetti – scriveva sul New York Times nell’agosto del 2007 Andrea Camilleri – sembrò subito chiaro a molti, in Europa e negli Stati Uniti, che il loro arresto, nel 1920 – inizialmente per possesso di armi e materiale sovversivo, poi con l’accusa di duplice omicidio commesso nel corso di una rapina nel Massachusetts – i tre processi che seguirono e le successive condanne a morte erano pensati per dare, attraverso di loro, un esempio. E questo nonostante la completa mancanza di prove a loro carico, e a dispetto della testimonianza a loro favore di un uomo che aveva preso parte alla rapina e che disse di non aver mai visto i due italiani. La percezione era che Sacco, un calzolaio, e Vanzetti, un pescivendolo, fossero le vittime di un’ondata repressiva che stava investendo l’America di Woodrow Wilson. In Italia, comitati e organizzazioni contrari alla sentenza spuntarono come funghi non appena essa fu annunciata. Quando la sentenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al potere in Italia da quasi cinque anni e consolidava brutalmente la propria dittatura, perseguitando e imprigionando chiunque fosse ostile al regime, inclusi naturalmente gli anarchici. Eppure, quando Sacco e Vanzetti furono giustiziati, il più grande quotidiano italiano, il Corriere della sera, non esitò a dedicare alla notizia un titolo a sei colonne. In bella evidenza tra occhielli e sottotitoli campeggiava un’affermazione: Erano innocenti”.
Erano innocenti. E la storia darà loro ragione.
Nel 1977 il governatore del Massachusetts, Michael S. Dukakis, riabiliterà le loro figure scrivendo nel documento che proclamerà per il 23 agosto di ogni anno il S.&V. Memorial Day che “il processo e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti devono ricordarci sempre che tutti i cittadini dovrebbero stare in guardia contro i propri pregiudizi, l’intolleranza verso le idee non ortodosse, con l’impegno di difendere sempre i diritti delle persone che consideriamo straniere per il rispetto dell’uomo e della verità”.
Oggi come ieri.
[1] Arrestati, processati e condannati a morte con l’accusa di omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater and Morrill di South Braintree saranno giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nonostante i molteplici dubbi sulla loro colpevolezza e la confessione del detenuto portoghese Celestino Madeiros che li scagionava.
Fonte: https://www.collettiva.it/