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L'importanza del riccio: in Sardegna non si pesca più

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AGI – E’ fondamentale, come animale filtro, per contribuire alla qualità ecologica dell’ambiente marino in cui vive. Non solo, è un importante indicatore della buona qualità delle acque. Per questo bisogna salvare il riccio di mare che, invece, rischia di sparire dai mari della Sardegna a causa del prelievo massiccio e indiscriminato dovuto alla domanda sempre crescente da parte di ristoratori. Per un po’ di tempo, però, ci si dovrà dimenticare dei prelibati spaghetti conditi con la polpa del ‘Paracentrotus lividus’ (questo il nome scientifico del riccio).

Stop alla pesca e multe salate

Il Consiglio regionale della Sardegna ha infatti sospeso la pesca per almeno tre anni. L’importanza del riccio, quale importante fattore di equilibrio dell’ecosistema marino, emerge quando la sua sopravvivenza viene messa a rischio: non si potrà più pescare fino all’aprile 2024. E chi lo farà rischia pesanti sanzioni.

“La pesca dei ricci da un livello ‘stagionale’ e marginale degli anni ’80 del secolo scorso, concentrata soprattutto davanti alle coste di Alghero e Cagliari, negli anni ha assunto sempre più caratteristiche ‘industriali'”, spiegano gli ecologisti del Gruppo d’Intervento giuridico. E questo per l’espandersi incontrollato della ‘moda’ gastronomica per cui le gonadi dell’echinoderma sono andate a impreziosire diversi prodotti della gastronomia locale, pizze comprese.

Una strage annunciata

Sono necessari dai 295 ai 1.212 ricci, in base alle dimensioni, per ricavare un chilo di polpa: la strage era quindi annunciata. In dieci anni – dal 2009 al 2019 – risultano pescati dai professionisti ben 25.320.776 esemplari, ma – osservano gli ecologisti – il 35% dei pescatori non riconsegnava il libretto annuale dove deve annotare il numero degli esemplari catturati per cui il prelievo era di molto superiore a quello dichiarato ufficialmente.

La scomparsa dei ricci di mare rappresenterebbe un grave danno per l’ecosistema marino e l’AGI ha interpellato Piero Addis, biologo marino, ricercatore in Ecologia del dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente all’Università di Cagliari, per conoscere meglio i ricercati echinodermi e capire quanto siano importanti per la salute del mare. I ricci, organismi erbivori fondamentali per la biodiversità marina, sono presenti nella fascia costiera della Sardegna, ma in generale in quella Mediterranea e anche Nord Atlantica.

Le specie sono numerose e, per tutte, anche per quelle non edibili, esistono sia i maschi che le femmine. La fecondazione avviene all’esterno della loro teca. Nonostante esistano tantissime tipologie, quella che produce uova considerate appetibili e pregiate dal punto di vista commerciale è il cosiddetto ‘Paracentrotus lividus’. 

Il (falso) riccio maschio

In mare è presente anche un’altra tipologia, quella della ‘Arbacia lixulà, che pero’ non è edibile: ha una forma tonda e schiacciata, con aculei lunghi e neri e secondo una errata credenza popolare questo riccio è scambiato per il ‘maschio’ del ‘Paracentrotus lividus’, quello con le uova per intenderci.

Il professor Addis spiega l’importanza di questi organismi. “Si nutrono prevalentemente di macro alghe, hanno il ruolo di controllarne la crescita e rientrano nei meccanismi che mantengono in equilibrio gli ecosistemi. Possiamo affermare che, nella catena alimentare marina, si trovano in una posizione intermedia e stanno tra le alghe e i pesci. Da un lato, controllano la crescita delle macro alghe e dall’altro sono anche un nutrimento per altre specie. Questo echinoderma rientra a far parte, ad esempio, della dieta dei saraghi e di alcuni labridi”.

La loro presenza nell’ambiente marino è legata al mantenimento dell’equilibrio delle catene alimentari. “Se i ricci sono troppi – chiarisce Addis – tendono a creare un sovrapascolo delle macro alghe, se sono pochi viene a mancare quest’alimento per i pesci e si ha uno sviluppo eccessivo della macro alghe”.

Quando prelevare la polpa

Negli ultimi dieci anni, con l’aumento di richiesta e consumo si è verificata l’impossibilità di controllare nella filiera la provenienza della polpa di riccio. Una volta che le uova vengono prelevate dall’interno del guscio non si può sapere con certezza se queste sono state prelevate da un riccio di taglia adeguata oppure non sufficientemente adulto. Il problema è che questo organismo ha una crescita abbastanza lenta: per raggiungere la taglia commerciale di 5 centimetri, esclusi gli aculei, impiega circa 4 o 5 anni.

“Se il prelievo non è ben gestito – spiega Piero Addis – non si consente alla specie di rifornire con giovani ricci quella porzione dello ‘stock’ che permette poi alla popolazione di riprodursi e di rimanere in equilibrio. Se questo non avviene, perchè si attua un prelievo eccessivo o di taglie al di sotto di quella consentita, nel tempo si crea un’erosione della popolazione.

Scompare la popolazione adulta

Un altro elemento fondamentale è anche dato dalla rimozione delle taglie adulte, quelle più ricercate. Se nel tempo si eliminano con la pesca gli adulti, sia in taglia che quelli sotto taglia, si crea un problema allo stock dei riproduttori, perchè si toglie quella parte di popolazione che è in grado di riprodursi e, al tempo stesso, anche di alimentare lo stock stesso con i nuovi nati. In molti siti della Sardegna le taglie commerciali, cioè quelle adulte, si sono estinte”.

In tutte le specie di ricci esistono sia i maschi che femmine e la fecondazione è esterna. “Le femmine – dice ricercatore in Ecologia del dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente all’Università di Cagliari – emettono le uova, che vengono fecondate nell’acqua dal liquido seminale dei maschi. L’uovo fecondato ha una fase planctonica e vive libero nell’acqua per circa 4 settimane, poi si ha una metamorfosi che porta alla caduta del riccio sul fondo marino e, da quel momento, questo inizia ad assumere la forma adulta, con la teca e gli aculei.

La produzione di questi nuovi ricci è in funzione anche della presenza dei riproduttori e delle condizioni ideali favorevoli”. Allo stato attuale, non è possibile fare una stima sulla popolazione minima necessaria a scongiurare la loro estinzione.

Il monitoraggio

“Per ora – evidenzia Addis – esiste un piano di monitoraggio, finanziato dalla Regione Sardegna, tramite l’agenzia regionale Agris. Se ne stanno occupando dal punto di vista scientifico le Università di Cagliari e di Sassari e l’Imc di Torregrande, che hanno il compito di svolgere questi monitoraggi dal 2020 al 2023.

Questi saranno funzionali per avere i dati che, elaborati con modelli matematici, consentiranno poi di ottenere la capacità portante della popolazione dei ricci nell’Isola. Una volta che si sarà valutato lo stock presente in mare, si potrà programmare e definire anche quale potrà essere il prelievo che si puo’ esercitare sulla risorsa”.

In caso contrario non è possibile fare una programmazione di prelievo scientifico. A proposito dei progetti avviati in Sardegna per l’allevamento dei ricci per il ripopolamento, Addis evidenzia che il suo gruppo di ricerca ha avuto un finanziamento europeo dal 2013 al 2016, dove sono state messe a punto tecniche di riproduzione, di allevamento e la mangimistica per il loro allevamento.

“Abbiamo proseguito – aggiunge il ricercatore – con dei progetti finanziati anche dal Flag Sardegna Sud Occidentale (gruppo di azione locale per la pesca che abbraccia il territorio dei 14 comuni costieri del sud ovest della Sardegna, ndr), dove abbiamo fatto anche delle attività di ripopolamento.

Abbiamo utilizzato i ricci prodotti nel nostro impianto di allevamento e fatto prove sperimentali di ripopolamento in mare in tre zone del Sud Sardegna, dove abbiamo liberato circa 1.500 ricci. Li stiamo monitorando per capire cosa succede e che esiti potranno dare queste tecniche.

I risultati, pero’, li vedremo nei prossimi anni”. Lavori in corso, quindi, per salvare ‘Paracentrotus lividus’ che, per almeno tre anni, dovrà essere lasciato in pace. 

Source: agi


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