Cogestione, impersonalità, continuità: sono i segni particolari del sistema di potere italiano così come si sono dipanati nella storia a cominciare dall’Unità d’Italia, passando per il fascismo, per arrivare fino ai nostri giorni. A individuarli è il costituzionalista Sabino Cassese nel suo ultimo libro, “Le strutture del potere”, edito da Laterza e presentato oggi nella sala del Refettorio del Senato, a Palazzo San Macuto. Al dibattito hanno preso parte l’autore assieme ad Alesandra Sardoni – che lo intervista nel volume – Gianni Letta, il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, il direttore del Tg la7, Enrico Mentana, il saggista Ernesto Galli della Loggia. Un confronto che ha portato a scandagliare i capitoli del libro che si muove sul doppio binario della biografia e della ricerca storica. Inevitabile rintracciare nelle pagine passaggi che sembrano estratti dalla stretta cronaca politica e parlamentare. Lo sottolinea bene Mulè nel sottolineare che “due di questi poteri sono in subbuglio, quello giudiziario e quello dello stampa”. Ma non solo. Se è vero, come sottolinea l’autore, che uno dei problemi del potere in Italia è l’impossibilità di stabilire chi sia il ‘final’, il decisore finale, allora il dibattito sulle riforme sembra voler rispondere al quesito. “I giornali in questi giorni sono pieni della questione dei terreni agricoli. Il ministro dell’agricoltura dice che è bene siano destinati all’agricoltura. Il ministro dell’Ambiente vuole metterci impianti di energia rinnovabile. Il ministro della cultura vuole salvaguardare il paesaggio. Hanno tutti e tre ragione. Ma chi decide? Come si fa a decidere in un caso così? Il problema del potere sta proprio lì. Tutte le democrazie mature hanno dato voce agli interessi collettivi, a ragione. E però le leggi riconoscono questi interessi ma non stabiliscono quale di questi interessi debba prevalere. In questo caso ci sono solo due vie: il negoziato. O che ci sia qualcuno che ha il potere dell’ultima parola. Per potere esercitare il potere bisogna negoziare o avere qualcuno che abbia la primazia, qualcosa di molto vicino al premierato”, aggiunge Cassese. “Il problema è che la personalizzazione del potere è sempre stata vista con un certo sfavore nel nostro Paese. La Dc non manda mai al Quirinale una persona che sia centrale nello scenario politico”. Un aspetto su cui si sofferma particolarmente Ernesto Galli della Loggia nel suo intervento: “La tendenziale impersonalità del potere italiano ha avuto il suo simbolo nella Democrazia Cristiana, con questa grande Balena Bianca. Certo, alcune persone come Moro e Fanfani hanno rappresentato il potere democristiano. Ma il potere italiano è sempre stato un potere che fugge dalla personalizzazione, ha paura del potere incarnato da una persona. La impersonalizzazione al potere implica l’impossibilità di attribuire meriti e colpe e quindi l’impossibilità di punire chi sbaglia”. Tema che porta con se quello della ‘cogestione’, ovvero la tendenza del sistema di potere italiano a evitare il conflitto tra poteri. “Questa cogestione è stata studiata da un professore americano che ha fatto una comparazione fra Giappone e Italia e ha definito l’Italia una democrazia che si nutre di continuità”. L’esempio pià appariscente è il dibattito che riguarda la Nato: “Chi si sarebbe aspettato”, chiede Cassese, “oggi una posizione tanto atlantista?”. (AGI)
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