Dopo trent’anni di bipolarismo e almeno un decennio di unipolarismo, indiscutibilmente dominato dalla superpotenza americana, il mondo è sempre più attraversato da pericolose asimmetrie sistemiche e da profonde disuguaglianze economico-sociali. L’odierno ‘disordine mondiale’, come lo definiscono numerosi politologi, è per davvero il risultato dell’epocale fallimento della diplomazia?
Secondo Pasquale Ferrara, direttore generale per gli affari politici e di sicurezza della Farnesina nonché docente di diplomazia e negoziato alla Luiss, decretare la fine della diplomazia e darla per ‘morta’, in un momento in cui sembra aver fallito su molti fronti, sarebbe quanto mai sbagliato. Bisogna piuttosto invertire i termini della questione e chiedersi, rileva Ferrara, “come sarebbe stato il Mondo (di oggi e di ieri) senza la diplomazia”.
Mentre la guerra infuria in Ucraina da oltre un anno, l’Africa è teatro di continui golpe militari e il Medio Oriente ha ripreso a bruciare, Ferrara invita ad analizzare l’impatto dei negoziati sulle relazioni internazionali da un’altra prospettiva in ‘Cercando un paese innocente. La pace possibile in un mondo in frantumi’ (Edit. Città Nuova, Collana ‘I Prismi’, 2023, 160 p.). Un saggio a sua firma decisamente controcorrente, proprio perché celebra l’utilità della diplomazia anche quando non produce risultati eclatanti ma riesce, molto più sommessamente, a generare processi cioè a connettere parti che hanno esigenze ed agende completamente diverse, mettendole allo stesso tavolo. Le relazioni internazionali non sono rose e fiori ma – ha sottolineato il diplomatico presentando il volume al Circolo degli Esteri – “la ragion d’essere della diplomazia dovrebbe sempre essere il perseguimento della pace su scala mondiale”. In un momento in cui quest’ultima ha deluso (n.d.r. si pensi alla crisi in Nagorno Karabakh, alla guerra in Ucraina e al conflitto mai risolto arabo-israeliano) Ferrara lancia il suo “inno all’utilità della diplomazia” a prescindere: non solo quando riesce a creare spazi d’intesa, ma anche quando mette in campo processi.
“Non si dovrebbe mai dire che un negoziato ha fallito, semmai che il lavoro non è stato portato a termine perché, comunque sia, quel negoziato ha attivato un processo”, sostiene l’autore spiegando così il significato di quella che lui chiama la “diplomazia generativa”: una diplomazia che, diversamente da quella ispirata alla Realpolitik che ragiona in termini di egemonia, poco alla volta, coinvolgendo diversi soggetti incluso la società civile, genera processi che mirano a interessi condivisi. In questo senso il “Paese innocente” di Ferrara è quello che ha un’agenda di politica estera trasparente: “non un Paese ingenuo, irresponsabile o inconsapevole – sottolinea – ma un Paese che persegue la sola politica estera realistica che non ridurrà il mondo in cenere, quella della pace strutturale”.
Mentre l’esercito israeliano annuncia di esser pronto ad invadere Gaza, Ferrara accende i riflettori su un’utopia che si potrebbe definire “migliorista”. Una diplomazia dei piccoli passi che, tuttavia, può fare la differenza in conflitti che sembrano insormontabili proprio perché non usa il linguaggio della forza. Sullo sfondo della sua proposta c’è l’esempio della costruzione europea, un percorso certo non facile e piano di ostacoli ma pur sempre valido perché da quasi ottant’anni ha messo a tacere i cannoni. (AGI)
RED/FRA