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Libia, un Paese lasciato nel caos

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A più di dieci anni dall’intervento militare occidentale, la democrazia e la stabilità appaiono solo un’illusione sullo sfondo e nessuno nella comunità internazionale vuole che si torni alle urne per paura che possa vincere Saif Al-Islam Gheddafi, figlio del Colonnello

di Giuseppe Accardi

Gli avvenimenti a cui stiamo assistendo in questi mesi di guerra in Ucraina, hanno riportato alla luce e messo ulteriormente in discussione la questione dell’interesse nazionale, già da tempo analizzata e presa di mira della stampa estera e nostrana.

Le attuali scelte, portate avanti dall’esecutivo di palazzo Chigi, riguardanti l’invio di armi in direzione Kiev, che collocano il nostro paese in posizione di cobelligeranza e lo autoeliminano da un possibile ruolo di mediazione tra le parti al tavolo delle trattative, non dovrebbe allarmarci più di tanto, considerando che negli anni, soprattutto dopo il 1989, il nostro paese ha sempre assunto posizioni ambigue per quanto riguarda la politica estera e la partnership internazionale, portando  avanti campagne militari che in più occasioni hanno colliso con il suddetto interesse .

È il caso della guerra in Libia, perpetrata ai danni di Muammar Gueddafi, che come in altri conflitti a ridosso dell’area mediorientale è risultata essere un completo fiasco, producendo scenari disastrosi soprattutto per quanto riguarda stabilità e democratizzazione.

È necessario guardare al passato ed analizzare le cause del conflitto scoppiato nel 2011 nel contesto delle Primavere Arabe.

Lo Stato Libico indipendente, nasce formalmente nel 1951, all’indomani del secondo conflitto globale, con a capo il Re Idris. Le grandi potenze europee, allora interessate a mantenere l’influenza nelle ex colonie, dovettero salutare con successo il raggiungimento dell’indipendenza libica, dopo che il compromesso Sforza-Bevin del 1949, riguardante la divisione del paese in  3 aree (Fezzan, Cirenaica e Tripolitania) fu disatteso.

Ben presto il re, dovette confrontarsi con numerose problematiche, tra cui rivendicazioni nazionalistiche arabe e la guerra dei 6 giorni del 1967 che aprirono la strada ad una crisi interna difficilmente sanabile.

Tutto ciò spalancò le porte ad insidie ed insurrezioni, infine nel 1969, il colpo di stato portato avanti da Gueddafi, risultò vincente e pose fine alla dinastia dei Sunussi.

Il nuovo leader proclamò la Repubblica, centralizzando nelle sue mani gli apparati dello stato, aprì al panarabismo e pose fine alle politiche filo-occidentali, perpetrate precedentemente durante la stagione monarchica.

La svolta sul piano internazionale fu immediata grazie al sostegno e all’avvicinamento al Panarabismo Egiziano di Nasser e grazie alla progressivo radicamento di ideologie anticolonialiste che rinvigoriva soprattutto l’ostilità anti-italiana.

Dopo il 1973 e la svolta di Sadat in Egitto, che permise il progressivo riavvicinamento all’occidente, la Libia e il Colonnello cercarono di colmare il vuoto lasciato dalla nuova posizione del governo del Cairo nello scacchiere internazionale ed attraverso la pubblicazione nel 1975 del cosiddetto ‘Libro verde’, il comandante cercò una nuova legittimazione interna basata su una inconsueta forma di“Democrazia Diretta”.

Il nuovo ruolo all’interno dei Paesi Non Allineati, la continua contestazione dell’occidente capitalistico e soprattutto l’avvicinamento a Mosca, segnarono inevitabilmente il paese negli ultimi 2 decenni del 900.

Inserito dagli USA nella lista degli stati canaglia, già negli anni 80 si guadagnò l’appellativo si Sponsor del Terrorismo internazionale ispirando se non finanziando innumerevoli stragi e attentati.

Malgrado ciò, il dialogo tra Tripoli e Roma, che non era mai davvero sopito, tornò ad intensificarsi  nella seconda metà degli anni 80 grazie ai rapporti privilegiati tra il Rais e Craxi.

Ad ogni modo il posizionamento strategico, nonché la sua funzione stabilizzatrice permisero alla Libia di essere una delle vere garanzie di partnership nell’aria mediorientale e trovò nell’Italia del tempo un ottimo interlocutore per rompere quelle politiche isolazioniste  portate avanti nei precedenti 15 anni.

La relazione privilegiata tra i due stati fu portata avanti anche successivamente, dai governi Prodi e Berlusconi, e fu fondamentale per il nostro paese in termini di approvvigionamento energetico e per il mantenimento della stabilità nei canali dei flussi migratori, questo inoltre permise una distensione con l’Europa e l’Occidente in generale che portarono alla cooperazione commerciale ed anti terroristica attraverso la stipula di numerosi trattati.

Con lo scoppio dei conflitti in Iraq ed Afghanistan, la posizione libica si rafforzò ulteriormente e il rapporto con  l’Italia risultava necessario anche agli occhi degli USA,  ma tutto cambiò dopo l’elezione del presidente americano Obama e la successiva decisione di abbandonare l’Iraq.

La ritirata americana e la conseguente convergenza anglo-francese nel perseguire la missione civilizzatrice  mediorientale crearono i presupposti per l’interferenza delle potenze straniere sul territorio libico.

Appellandosi al principio di “ingerenza umanitaria” formulata nel 1999 in Kosovo e alla cosiddetta ‘Responsability to protect’ si arrivò alle risoluzioni Onu 1970 e 1973 del 2011 adottate contro il regime di Gheddafi, colpevole di bombardamenti su una folla di manifestanti a Tripoli che sull’onda della rivoluzione Egiziana e Tunisina protestavano per un rinnovamento politico.

Le risoluzioni istituivano una No fly Zone, l’embargo generale di armi e il congelamento dei beni del Colonnello, inoltre aprivano la strada ad un vero e proprio intervento militare in appoggio ai ribelli di Bengasi che avvenne il 19 marzo del 2011 ad opera della Gran Bretagna di Cameron e la Francia di Sarkozy.

Il generale Gheddafi fu ufficialmente ucciso il 20 ottobre 2011, con tanto di video postato in rete, dopodichè il paese fu lasciato in balia di se stesso, nel disinteresse generale, senza un potere centrale in grado di tenere a freno i jhiadisti e i gruppi nazionalisti dei Fratelli Musulmani.

Dal 2014 si fa largo la figura del generale Haftar, che guadagna ben presto legittimità in Cirenaica, costruendo un vero e proprio esercito e invocando le elezioni, che avvengono proprio nel 2014.

Il nuovo governo di Haftar si sposta da Tripoli a Tobruch ma la vecchia maggioranza islamica costituisce un secondo governo con sede a Tripoli, appoggiato dai fondamentalisti islamici.

Nel 2015 interviene nuovamente l’ONU e si creano formalmente 2 governi, quello di Tobruch, legittimo, ed uno fantoccio guidato da Al Serraj, con sede a Tripoli appoggiato da gran parte della Comunità internazionale. Da qui in poi assistiamo ad un escalation del conflitto tra i due governi che non accenna ad attenuarsi.

Negli ultimi anni il nuovo primo ministro di Tobruch, Bashaga, ha provato più volte ad insediarsi a Tripoli ma è sempre stato respinto con le armi e il paese pare sempre più frammentato e distrutto.

A più di dieci anni dall’intervento militare occidentale, la democrazia e la stabilità appaiono solo un’illusione sullo sfondo e nessuno nella comunità internazionale vuole che si torni alle urne per paura che possa vincere Saif Al-Islam Gheddafi, figlio del Colonnello.