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L’ENERGIA È AL CENTRO

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I conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, il rimescolamento delle rotte energetiche, la transizione verso energie più pulite. Per una svolta, è cruciale che al tavolo siedano sia le nazioni del Golfo sia l’industria del petrolio e del gas
4 min

La Cop28 di Dubai è un appuntamento al bivio tra il vecchio e il nuovo, un ordine mondiale che non funziona più per i paesi Brics e un nuovo schema che non nasce perché si sono aperti altri conflitti e tutti sperano di vincere.

Il tema del cambiamento climatico sembra in secondo piano rispetto all’agenda della contemporaneità, ma in realtà è proprio l’energia a tenere la scena: il conflitto in Ucraina ha tagliato lo stretto legame dell’Europa con i gasdotti di Mosca; la guerra in Medio Oriente ha rimescolato gli scenari delle rotte energetiche, la sicurezza, gli investimenti dell’industria per i prossimi trent’anni.

Siamo di fronte a un processo che è partito anni fa, gli accordi di Abramo promossi dall’amministrazione Trump – e confermati dalla presidenza di Joe Biden – hanno innescato un cambiamento radicale nei rapporti tra Israele e i Paesi arabi. L’assalto di Hamas ne ha sospeso la corsa (l’Arabia Saudita stava per firmare, ci ha ripensato), ma quello che conta sono i fenomeni di lungo periodo, dunque la partita resta aperta. La strage di Hamas, la risposta di Israele, non sono una guerra di Gaza come le altre, tutti gli analisti sono concordi sul punto di svolta.

Il dibattito sul clima è incastonato in un contesto storico di rapido e profondo cambiamento, nel giro degli ultimi tre anni sui libri di storia sono già stati stampati due shock globali: la pandemia e la scoperta della vulnerabilità (e delle illusioni) dell’umanità; due grandi guerre in Europa e in Medio Oriente che si combattono all’interno del sistema di pipelines che alimentano il motore delle democrazie occidentali. Il cambiamento climatico non è una variabile indipendente da tutto questo, fuori da qualsiasi considerazione sulle priorità, l’agenda e lo scenario.

La transizione verso energie più pulite richiede un impegno globale e un sistema di relazioni internazionali che funzioni. Cosa che non sta avvenendo, basta il calendario per capirlo: mentre scrivo il mio pezzo per WE, la guerra in Ucraina è in corso da oltre 600 giorni, quella in Medio Oriente ha superato i 40 giorni. Occorre una dose di realismo che continua a mancare a molti, trovare soluzioni per la sfida climatica con due guerre in corso richiederà un impegno straordinario, flessibilità e intelligenza.

“Per produrre progressi significativi dobbiamo separare i fatti dalla fiction, la realtà dalla fantasia, la sostenibilità dall’ideologia, evitando di cadere nella trappola delle divisioni e della distruzione”, ha avvertito il sultano Ahmed al-Jaber, presidente della COP28 e amministratore delegato della Abu Dhabi National oil company (Adnoc), l’azienda petrolifera di Stato, nonché numero uno di Masdar, società di rinnovabili di cui la National oil company detiene il 24 percento. Il Medio Oriente “ha le risorse, la leadership e l’esperienza per creare un futuro positivo dal punto di vista del clima, con industrie nuove, nuove tecnologie, nuovi affari, nuovi posti di lavoro e soprattutto nuove speranze”.

Per cercare una svolta, è cruciale che al tavolo siedano sia le nazioni del Golfo (che possiedono circa il 65 percento delle riserve petrolifere dell’intero pianeta con una produzione che copre il 30 percento del totale mondiale) sia l’industria del petrolio e del gas. Considerare l’Oil&Gas come parte fondamentale della soluzione potrebbe rivelarsi la scelta azzeccata della Conferenza di Dubai.

Nelle economie avanzate dell’Occidente c’è un problema politico che è di “impianto ideologico” sulla transizione verde, ma il tempo è galantuomo e le soluzioni a tavolino non reggono l’impatto della realtà.
di Rita Lofano – FONTE: https://www.worldenergynext.com/


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