AGI – Schede stracciate, un bicchiere di Cynar a Mario Scelba, l’urna a domicilio, il nano maledetto e il voto alla bersagliera. Momento più alto e complicato della vita politica italiana, l’elezione del presidente della Repubblica è stata spesso teatro di scene concitate, drammatiche ma anche curiose e non prive di una perfida ironia. Tra cronache e racconti dei testimoni molte di esse sono state ricordate mentre mille altre resteranno riservate. Eccone alcune trovate curiosando tra i tanti racconti dei protagonisti.
La prima elezione, nel 1948, risentiva ancora del clima caldo dei primissimi anni del Dopoguerra e delle tensioni che avevano contraddistinto il referendum tra monarchia e repubblica. Capita così che Giovanni Alliata Di Montereale, nobile eletto dal Partito nazionale monarchico, nella prima seduta comune del primo Parlamento repubblicano, annunciando la sua astensione stracci platealmente la scheda. Immediate le grida dai banchi di tre quarti dell’emiciclo ‘Viva la Repubblica’, e immediato il richiamo del presidente della Camera Giovanni Gronchi: “faccio osservare all’onorevole Alliata che meglio avrebbe conferito alla serietà della sua posizione il non aver accompagnato la sua dichiarazione con un gesto che io debbo disapprovare”.
Dopo altri cori contrapposti e una piccola baruffa procedurale le elezioni proseguono e in quattro scrutini portano Luigi Einaudi al Quirinale. Questi era molto schivo e a un giovane Giulio Andreotti che per conto di De Gasperi gli prospetta l’elezione, obietta: “Ma lei lo sa che porto il bastone? Come farei a passare in rassegna i reparti militari?”. “Non si preoccupi, mica deve andarci a cavallo, al giorno d’oggi ci sono le automobili…” gli ricorda serafico il giovane Dc. Ed è proprio De Gasperi a convincere il governatore di Bankitalia, una volta eletto, a trasferire la Presidenza da palazzo Giustiniani al Quirinale.
È il 1955, al governo c’è Mario Scelba, l’elezione di Giovanni Gronchi con i voti di socialisti e comunisti fa sperare questi ultimi in una caduta dell’esecutivo. E così, a scrutinio avvenuto, Gian Carlo Pajetta e Velio Spano fanno portare dai commessi un Cynar liscio ai banchi del governo dove siede Scelba. Che però si mostrò più resistente del previsto e lasciò la guida del governo solo dopo altri due mesi. Anche per l’ambasciatrice Usa a Roma Claire Both Luce l’elezione di Gronchi è indigesta: assiste agli scrutini dalla tribuna della Camera ma alla proclamazione del nome del nuovo presidente abbandona il suo posto con un’uscita plateale. Altra ‘vittima’ di quella elezione è Cesare Merzagora, che ritiene di poter avere il voto della Dc e del Pci. Andreotti lo mette in guardia ma lui non si ritira e una volta sconfitto ammette amaramente: “mi sono fatto giocare come un bambino a moscacieca”.
L’elezione di Antonio Segni si svolge in un clima di tensione tutto interno alla Dc, Aldo Moro sostiene Segni ma i franchi tiratori votano anche per Attilio Piccioni e Giovanni Leone, e sono in corsa anche Gronchi e Fanfani. Le elezioni si susseguono e i morotei inventano un trucco: ritirano dai commessi due schede e le consegnano precompilate ai loro colleghi sospettati di non avere ‘le idee chiare’. Il gioco viene subito scoperto tanto che, indignato, Giuseppe Rapelli sbotta: “bisognerebbe votare nudi”. E l’escamotage, nonostante le proteste che giungono anche da tanti democristiani, sortisce l’effetto desiderato e dopo altri quattro giorni di votazioni Segni viene eletto.
Nel 1964, durante l’elezione che porterà Giuseppe Saragat al Quirinale, l’onorevole Gennaro Cassiani rimane vittima di un incidente ma chiede di votare ugualmente. Il Presidente Bucciarelli Ducci, al nono scrutinio, consente a Cassiani di entrare in aula “in poltrona da invalido. E poiché non è possibile l’accesso al corridoio del voto – spiega -, l’urna gli sarà recata vicino dal segretario di Presidenza“. L’urna, ironicamente chiamata insalatiera, viene tolta dal suo tavolo e portata a Cassiani che vota tra gli applausi dei colleghi.
Ma all’elezione di Saragt si arriva con grande difficoltà. Il candidato della Dc è Giovanni Leone ma Aldo Moro, presidente del Consiglio, vuole fermare la sua corsa e convoca Carlo Donat-Cattin, leader di Forze Nuove. Gli spiega il suo obiettivo ma lascia all’esponente Dc la scelta dei “mezzi tecnici”. Usciti da palazzo Chigi Donat-Cattin spiega ai suoi colonnelli: “I mezzi tecnici sono solo tre: il pugnale, il veleno e i franchi tiratori”.
Nel 1971 Amintore Fanfani, presidente del Senato e in corsa per il Quirinale, affronta nella buvette di Montecitorio uno dei principi del giornalismo italiano, Vittorio Gorresio accusandolo di non dire la verità: “I tuoi articoli li tagliano i tuoi padroni”. Il giornalista della Stampa rispose il giorno dopo con poche righe: “Il linguaggio del senatore Fanfani non si addice a un presidente, anche solo del Senato”. Più caustico un grande elettore, anonimo, che sulla scheda verga un distico divenuto famoso: “Nano maledetto, non sarai mai eletto”. Alla fine Fanfani si ritira e viene eletto Giovanni Leone.
Tra i più amati presidenti della storia repubblicana, Sandro Pertini arriva al Quirinale dopo 16 scrutini, giocandosi l’elezione in prima persona con alcuni stratagemmi da politico navigato. Ma già dai giorni del voto mostra una spiccata attitudine all’immagine, tratto caratteristico del suo settennato: appena compreso che il suo nome è tra i papabili ma ha ancora molti concorrenti, si presenta in Transatlantico sempre vestito con un completo chiaro per distinguersi dagli altri in grisaglia.
Considerato il capolavoro politico di Ciriaco De Mita, l’elezione al primo scrutinio di Francesco Cossiga mise alla prova il leader Dc per le abitudini mattiniere dell’ex ministro. “Ho saputo di essere il candidato democristiano al Quirinale due giorni prima della seduta congiunta” racconta lo stesso Cossiga poche settimane dopo il voto. “Mi ha telefonato De Mita, chiedendomi di incontrarsi. Gli ho detto che sarei andato da lui la mattina successiva alle sette e mezzo. De Mita mi ha risposto: ‘Per questa volta, data l’occasione eccezionale, va bene, ma non succeda mai più che tu mi dia appuntamento a queste ore'”. Sereno nell’avvicinarsi all’elezione, Cossiga alla vigilia dell’appuntamento vola in Spagna: “Sì ci sono stato. Però ero già rientrato da Barcellona, dove ho incontrato Jordi Pujol, presidente della Generalitat di Catalogna. Lo scopo, raggiunto, era quello di organizzare, per il prossimo anno, un convegno di studi iberici in Sardegna”.
Oscar Luigi Scalfaro presiede la seduta durante la quale sarà poi eletto al Quirinale. Ancora la sua candidatura è lontana e da presidente della Camera mostra tutto il suo rigore. Fin dai primi istanti l’aria è elettrica, siamo in piena Tangentopoli e l’antipolitica serpeggia. Il missino Teodoro Buontempo tira 500 lire in testa al Dc Serri e Scalfaro lo riprende: “La invito a distinguere tra un’aula e una piazza di periferia”. Seconda tirata d’orecchie per alcuni deputati che si erano messi a gridare “imbecille” a un avversario: “Onorevoli colleghi, non è il caso di urlare a voce alta il proprio cognome…”. Terza bacchettata, per il missino Carlo Tassi, che al suo invito a prendere posto gli risponde: “Presidente, mi indichi quale articolo del regolamento prevede l’obbligo di stare seduti”. “Se è per questo non c’è neppure una norma che la obblighi a ragionare: è facoltativo!” gli replica Scalfaro.
La tecnologia entra nell’elezione del presidente della Repubblica quando un gruppo di intellettuali, politici e artisti lancia la candidatura di Emma Bonino al Colle. Indro Montanelli e Franca Rame, Rita Levi Montalcini, Lucio Dalla, Margherita Hack, Umberto Veronesi e Claudia Cardinale trascinano il nome della storica esponente radicale a cavalcare i sondaggi grazie a una campagna condotta nei tradizionali banchetti per strada ma anche attraverso l’uso di messaggi via fax. Il Parlamento però non si fa convincere a la candidatura di Carlo Azeglio Ciampi lanciata da Walter veltroni, sosteniuta da Romano Prodi e siglata da un incontro tra massimo D’Alema e Silvio Berlusconi, giunge al successo al primo scrutinio per la seconda volta nella storia repubblicana.
Il nome di Giorgio Napolitano è avanzato dall’Unione dopo la caduta della candidatura di Massimo D’Alema e nell’impossibilità di trovare una convergenza tra Unione e Polo delle libertà. Berlusconi si dice contrario al voto per l’ex esponente Pci e Pds e impone ai suoi di non partecipare al voto. Per esserne certi i leader della Cdl fanno sfilare i propri parlamentari sotto ai catafalchi (le cabine elettorali) a passo di carica, senza sostare nemmeno un secondo dietro le cortine di velluto bordeaux. Romano Prodi, che a breve diverrà premier, ironizza: “Correvano come bersaglieri”.
Contrariamente al passato, l’elezione di Sergio Mattarella viene contraddistinta non tanto dai franchi tiratori ma da quelli che vengono definiti con un neologismo i “franchi sostenitori”. Sì perché dal calcolo dei voti, alla fine, il risultato per il giudice della Corte Costituzionale è superiore alle attese e soprattutto il candidato voluto da Matteo Renzi ma osteggiato da Silvio Berlusconi, incassa anche una cinquantina di voti del centrodestra che non erano nei piani del presidente di Forza Italia. A essere messi sotto accusa i centristi di FI e Ap. In aula le votazioni scorrono senza strappi fatta eccezione per la decisione della Lega di protestare contro l’ipotesi della candidatura di Mattarella: al primo scrutinio i parlamentari del Carroccio si presentano esibendo una vecchia pagina de il manifesto, del 1983, su cui campeggia il titolo “Non moriremo democristiani”. Altra piccola curiosità: il predecessore di Mattarella Giorgio Napolitano, che si è dimesso il 14 gennaio, si presenta in aula a votare, essendo senatore a vita dal giorno delle dimissioni dal Colle. Ed è accolto da un lungo applauso.
Source: agi