di Danilo Di Matteo
“L’impossibilità di parlarsi ha sciolto molte amicizie”, questo è il proverbio, di origine sconosciuta, che Aristotele cita nel Libro VIII dell’Etica Nicomachea. Lo ricordavo mesi addietro, nel contesto di una riflessione socio-esistenziale. Lo Stagirita si riferiva alla distanza fisica, alla lontananza, che in quell’epoca (e fino all’Ottocento) rendeva difficoltoso o impossibile comunicare. Aprosegoria è un vocabolo raro e in sé indica, appunto, l’impossibilità dell’allocuzione.
Il filosofo si riferisce all’amicizia profonda, intima, di due o di pochissime persone. Ma, a qualche pagina di distanza, annovera tra le forme di amicizia anche quella che lega gli abitanti della polis e, più in generale, i membri di una comunità politica.
Fin quasi al 1989, quando cadde il Muro di Berlino, le barriere ideologiche rendevano non di rado i tentativi di comunicazione politica simili a dialoghi fra sordi. In seguito, tuttavia, “l’impossibilità di parlarsi” ha continuato a caratterizzare la vicenda politica.
Rispetta a quella internazionale e globale, i fattori che contribuiscono a tale esito sono tali e tanti che non basterebbe un’enciclopedia per provare a descriverli. E neppure sarebbe agevole individuare e circoscrivere le linee di frattura che ostacolano o impediscono, ad esempio nel contesto italiano, di condividere alcuni principi e alcune scelte di fondo.
Il voto di Francia, tuttavia, indica che vi sono situazioni nelle quali è doveroso dialogare, in quanto, per dirla con Emmanuel Macron, “è giunto il momento di una manifestazione ampia, chiaramente democratica e repubblicana per il secondo turno”.
Una lezione che non può lasciarci indifferenti.
Al di là delle linee politiche contrastanti, delle ambizioni personali e, come diceva Palmiro Togliatti riferendosi alla dialettica interna al Pci, delle “differenze di umore e di temperamento”, cos’è che si frappone al confronto e all’intesa?
Credo che non di rado vi sia proprio la difficoltà o l’impossibilità di parlarsi. Un paradosso, all’epoca dei social. Eppure tendono a prevalere due dimensioni, nella comunicazione (?) politica: il rumore e il monologo. Le stesse dichiarazioni televisive da telegiornale somigliano a “monologhi in pillole”, privi di interlocuzione. E il chiasso dei new media finisce per coprire ogni tentativo di ragionamento o di dialogo. Illudendosi di far sentire la propria voce, si urla, in senso (anche) metaforico, rendendola inefficace. E le distanze emotive, ideali, programmatiche si traducono in nuove forme di distanze fisiche, nonostante i messaggi viaggino “in tempo reale”.
Da qui l’appello al campo del centrosinistra, sollecitato da milioni di cittadini, a individuare luoghi e forme per parlarsi davvero, sul “territorio” e al “centro”, in Francia come da noi. Ne va del nostro futuro e della nostra vita.