AGI – La seconda serata del festival si apre nuovamente con la categoria nuove proposte, così l’assenza del pubblico in sala si nota molto meno. Questa sera sulle sedie vuote una serie di palloncini con delle simpatiche faccette disegnate, uno di quei commoventi momenti della vita in cui ti chiedi dove cavolo vanno a finire i soldi del canone Rai.
Dopo un siparietto a metà tra Broadway e la fiera del fetish, scopriamo che Amadeus viene chiamato dall’amore della sua vita “patato”, e lui solitamente risponde con un “Ti amo anch’io Rosario”. Arriva presto il momento di Laura Pausini, orgoglio italiano nel mondo, la ragione per cui quando siamo in vacanza all’estero e ce la nominano noi rispondiamo “Excusez-moi, de qui parlez-vous?”. Entra in scena vestita da Catwoman al gay pride e canta la canzone con la quale ha vinto qualche giorno fa il Golden Globe, un brano scritto per il film “La vita davanti a sé”, la pellicola che segna il ritorno davanti alla macchina da presa di Sophia Loren, che nel film interpreta la nipote della Pausini.
C’è sempre un momento del Festival di Sanremo in cui canta Il Volo, in gara o da superospiti, solitamente è quello giusto per mettere il muto e guardare il soffitto. Questa sera i tre ragazzi omaggiano la buon’anima del maestro Ennio Morricone, che resta comunque più dinamico di loro.
Toccante l’intervento di Alex Schwarz, il marciatore italiano cui carriera è stata stroncata da un’ingiusta squalifica per doping, io comunque uno che parla con questo accento non lo indisporrei, è un attimo che ti attacca la Kamchatka. Come si intuisce dall’intervista, la storia di Shwarz ancora non è finita, soprattutto perché dopo aver visto da vicino il medley danzereccio di Elodie viene nuovamente trovato positivo all’antidoping.
A seguire, giusto per ricordarci che stiamo guardando Sanremo, entrano in scena Gigliola Cinquetti, Fausto Leali e Marcella Bella, interpretata per l’occasione dal biondo dei Cugini di Campagna, ma senza quell’inquietante sex appeal. D’altra parte, cosa ti tiene più sveglio a ridosso della mezzanotte se non Gigliola Cinquetti? Stavolta Sanremo la risposta ce la fornisce davvero, ed è l‘intervento di Gigi D’Alessio e i suoi nuovi amici del rap Enzo Dong, Ivan Granatino, Lele Blade e Samurai Jay, quattro fenomeni veri; “Guagliune” è l’ultimo atto di questo interessantissimo progetto del cantautore napoletano. Ok, loro si presentano come spacciatori di cuccioli di labrador, ma il pezzo è una bomba e loro trasudano talento.
Fuori dall’Ariston, Arisa, in gara con un brano di D’Alessio, lo aspetta visibilmente inviperita con una mazza da baseball: “e poi a me dai “Potevi fare di più”??”. Pausa dalla musica, è giunto il momento di Achille Lauro, stasera interpreta Mina, ma sembra più una versione trans di Raperonzolo; nel monologo introduttivo dice “Godere è un obbligo”, quindi possiamo cambiare canale? Sul palco con lui Claudio Santamaria e Francesca Barra improvvisano un balletto simil Travolta/Thurman in “Pulp Fiction”, lui per entrare nel personaggio si è fatto crescere una vistosa panza e si è iscritto a Scientology.
Toccante il momento del monologo di Elodie che parte con “A vent’anni avevo smesso con la musica” e finisce con “Adesso canterò una canzone di Mina”…no, non chiedeteci i dettagli della questione. La classifica parziale della giuria demoscopica alla fine certifica una bocciatura dell’universo indie, relegato tra ottavo e diciottesimo posto, a Sanremo va ancora forte la canzone semplice, immediata, che arriva subito senza troppi fronzoli o rigurgiti considerati da radical chic.
Le nuove proposte
Wrongonyou – “Lezioni di volo” – Voto 6: Ex enfant prodige del cantautorato indie romano, prova a rilanciarsi con il festival, alla fine il fatto che il suo nome circolasse a buoni livelli potrebbe fare la differenza, infatti è certamente lui il favorito di una categoria che non presenta grandi capolavori. “Lezioni di volo” in questo senso non fa troppa differenza, è un pezzo che dietro ai barocchismi da musica contemporanea nasconde un’indubbia debolezza. Al momento basta.
Greta Zuccoli – “Ogni cosa di te” – Voto 5: Un’ottima voce, un po’ una Anna Oxa in salsa minimal, ma senza quel carisma che, non c’è niente da fare, in tutti i tempi e a tutte le latitudini, fa sempre la differenza. Ci regala un viaggio negli anni ‘90 che non avevamo chiesto, manca un po’ di sostanza, va da un lato mentre la nuova discografia, specie rosa, va dall’altro.
Davide Shorty – “Regina” – Voto 6,5: Di gran lunga la miglior proposta della categoria. Prima di tutto perché ha senso, poi perché si tratta di un brano coraggioso, che prova con onestà e un pizzico di supponenza a proporre qualcosa di nuovo. Poi possiamo discutere sulla solidità del testo, però è già qualcosa, o perlomeno, qualcosa si intravede.
I Dellai – “Io sono Luca” – S.V.: Due gemelli. Quindi identici tra di loro. E contemporaneamente identici a Bugo. Una scena surreale, se incontrano il big dietro le quinte e si danno il gomito l’universo potrebbe implodere. Nemmeno il tempo di capire quale dei due è il Mario Repetto che li mandano a casa.
Orietta Berti – “Quando ti sei innamorato” – S.V.: Quando nella prima strofa della canzone Oriettona Berti, la mitica zia Orietta, presente nella nostra vita come una nonnina nazionale, pronuncia le parole “Quando mi guardi tu so quello che vorrei/Come una musica mi scorri dentro/Un fiume in piena ormai fino allo schianto/Pericoloso sei ma è quello che vorrei”…con quelle conchiglie argentate cucite sul vestito, proprio all’altezza del seno… ci blocchiamo per chiamare lo psicologo.
Bugo – “E invece sì” – Voto 6: Quando entrando non trova l’asta e comincia a vagare per il palco, l’Italia rimane col fiato sospeso, si blocca, le forchette a mezz’aria, gli occhi sbarrati…ora lo fa, ora lo fa. Niente, canta, peccato, poteva passare alla storia e diventare mito assoluto per tutti noi. E invece canta. La canzone non è neanche male, è un pezzo di Bugo, in stile Bugo, anche perché Bugo non può proprio fare a meno di essere Bugo, e ci sta. Ma nei nostri cuori, Bugone nostro, per quella storia dell’asta del microfono, sei nuovamente andato via, ingoiato dal silente buio delle quinte dell’Ariston, verso un mondo altro che non è degno della nostra imperfetta umanità.
Gaia – “Cuore amaro” – Voto 4: Canzone evidentemente composta con le basette della Bontempi system 5, il testo è estremamente debole. L’intento è quello di creare un’empatia quasi tropical, ma fa più l’effetto dei balletti del capodanno in piazza della RAI.
Lo Stato Sociale – “Combat Pop” – Voto 7: “Combat pop” non arriva immediata come “Una vita in vacanza” ma Lo Stato Sociale è un collettivo di artisti per cui la musica è solo il primo dei tanti linguaggi a disposizione. Sanno sempre cosa dire e come, anche stavolta. Volevano riunirsi per fare show, e lo hanno fatto; Lodo voleva mettersi da parte, far capire che lui non è un frontman, se non di se stesso, come chiunque, e invece proprio sparisce, forse troppo, tant’è che viene quasi da chiedersi ad un certo punto dove sia, e quando viene fuori attira l’attenzione il doppio di prima. Il brano è divertente, ottimamente prodotto, loro, come al solito, si mangiano il palco in scioltezza manco fossero al pubbetto sotto casa.
La rappresentante di lista – “Amare” – Voto 7,5: Un duo illuminato da una luce del tutto particolare, forse il miglior progetto musicale della discografia italiana tutta, e non solo indie. Conoscono al centimetro la geografia del palco, i loro brani si possono analizzare sotto decine di punti di vista differenti e restano sempre validi, solidi, pieni di intuizioni poetiche e allo stesso tempo efficaci. La canzone, anche se forse paradossalmente subisce un po’ la pomposità dell’arrangiamento orchestrale, è una delle migliori in assoluto del festival, talmente bella che ci fa quasi ingelosire del fatto che da stasera in tante altre persone conosceranno La Rappresentante di Lista, talmente bella che non ha nemmeno bisogno di questo festival.
Malika Ayane – “Ti piaci così” – Voto 7,5: Semplicemente splendida, Malika Ayane non la batte nessuno, la semplicità e la classe con la quale domina palco, canzone, interpretazione, è da top player. La combo con Pacifico poi ci manda in orbita. Riponiamo in lei le speranze più concrete di veder vincere questo Festival ad un artista impegnato, che tiri un filo più in alto l’asticella, specie dopo il pop sbiadito di Diodato dello scorso anno, specie in un’edizione che, speriamo tutti, rappresenterà la ripartenza. Lei c’è, il brano c’è, ora bisogna vedere se la critica punterà su un buon cavallo e i televotanti non si faranno imbambolare dalle figurine.
Ermal Meta – “Un milione di cose da dirti” – Voto 7: Non può di certo considerarsi una botta di vita e nemmeno di originalità, anzi suona come molti altri pezzi e tra questi l’intera discografia di Ermal Meta. Ma è un buon brano, il primo posto nella classifica parziale non è una roba da strapparsi i capelli, il ritornello poi suona benissimo, resta in testa, anche se non vorresti, anche se scriverlo dopo ti ridurrà in lacrime sotto l’acqua della doccia abbracciato a “Nevermind” dei Nirvana chiedendoti in cosa ti sta trasformando la vita. “Il prossimo passo qual è? – ti chiedi – il profilo di coppia su Instagram?”.
Extraliscio feat. Davide Toffolo – “Bianca luce nera” – Voto 7: Gli Extraliscio su Spotify hanno poco più di 5mila ascolti mensili, ciò vuol dire che sono discograficamente inesistenti, non sono outsider al festival, sono outsider della musica italiana. Ma loro sembrano quasi approfittare beffardi di questa posizione, per arrivare sul palco del Festivàl facendo quello che vogliono. E lo fanno bene, con il mestiere degli artigiani e la spregiudicatezza dei migliori.
Random – “Torno a te” – Voto 2: Amadeus vuole farci credere che si sono candidate centinaia di canzoni e tra le migliori 26 c’era questa?
Fulminacci – “Santa Marinella” – Voto 8: Commovente. L’unica vera canzone d’autore presentata in gara a Sanremo. È fantascientifico che un ragazzo così giovane possegga una penna così delicata, così impegnata, così sincera. Le sue canzoni vengono avanti a mani alzate, propongono uno sguardo dannatamente disincantato su un mondo che disincantato non lo è da un pezzo, fino a riuscire a renderlo poetico. Questo pianeta è un posto migliore con le canzoni di Fulminacci.
Willie Peyote – “Mai dire mai (La locura)” – Voto 7,5: Con il pezzo di Willie Peyote, top five del rap italiano, ci si alza, si balla e allo stesso tempo si piange. È la magia di Willie Peyote, che ti gira intorno con le parole, te le senti passare accanto all’orecchio come una zanzara, tra le gambe come un gatto, tra i capelli come il vento, pensi che ti sta accarezzando e invece ti ridicolizza, ti sotterra, ti squarcia. Perché le storie che dipinge con le sue barre sono spesso atroci, come questa, sono spesso deprimenti e sono spesso le nostre.
Gio Evan – “Arnica” – Voto 5,5: Quando abbiamo letto che nel cast di Amadeus c’era il Fabio Volo dell’indie italiano, ci aspettavamo che si fosse tenuto un asso nella manica da giocarsi a Sanremo, invece viene ingoiato da se stesso e presenta una canzone in perfetta linea con quanto già fatto in passato, quasi sempre insufficiente ad un’analisi più accurata. Poi si presenta vestito come Caparezza, muovendosi come un Jovanotti con l’artrosi. Una performance distopica.
Irama – “La genesi del tuo colore” – Voto 7: Una sorpresa, bisogna alzare bandiera bianca e ammettere che il pezzo funziona ma, soprattutto, si nota evidentemente la volontà di una ricercatezza che tra l’altro cozza totalmente con Sanremo, non è certamente una canzone che un artista compone e pensa: “Wow, con questa potrei vincere il festival”. Ma se hai la volontà di farla sentire ad una larga platea e hai la fortuna di essere tra i prescelti, perché no?
Source: agi