La riduzione dei flussi dalla Russia ha favorito l’accelerazione sull’innovazione tecnologica del trasporto del gas liquido. Strategico anche il GNL, in abbondanza dagli USA, che ha anche favorito la riduzione di emissioni di CO2
Le crisi portano rotture, lacerazioni, che a volte spianano la strada per innovazioni, non vere e proprie scoperte, ma più miglioramenti accelerati di tecniche da tempo conosciute. Le crisi energetiche degli anni ’70 aprirono alla produzione di petrolio in mare aperto, l’offshore, e allo sfruttamento del Mare del Nord in Gran Bretagna e Norvegia. L’abbondanza di gas che ne seguì permise la penetrazione del gas nei settori finali di consumo e lanciò l’uso del ciclo combinato a gas nella generazione elettrica. La necessità di spremere più petrolio dai vecchi giacimenti negli USA, perché i prezzi erano alti, spinse al recupero assistito nei giacimenti, quello con iniezione di fluidi per aumentare la pressione nel sottosuolo. Contemporanea fu anche la perforazione orizzontale guidata che, assieme all’assistita di prima, negli anni 2000 ha portato alla rivoluzione della fatturazione idraulica, o fracking, la tecnica che ha permesso agli USA di raggiungere sostanzialmente la tanto agognata indipendenza energetica e che sta salvando il mercato europeo del gas dopo la crisi del 2022.
Inizia tutto con il fracking
Proprio dal fracking parte la nuova mappa del gas mondiale, dopo la guerra in Europa che ha ridotto i flussi dalla Russia e aumentato quelli dagli Stati Uniti verso l’Europa sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL). Una ridefinizione che è stata possibile con la contestuale accelerazione sull’innovazione tecnologica del trasporto del gas liquido, non più attraverso grandi strutture, con grandi metaniere impegnate su progetti garantiti per trasportare gas ai grandi terminali di rigassificazione presso i centri di consumo. La grande innovazione di questi anni, accelerata con la crisi, riguarda proprio il passaggio verso strutture più piccole, con terminali fatti di navi galleggianti, sia con impianti di liquefazione vicino ai pozzi delle piattaforme in mare aperto, sia presso i porti dei paesi importatori e consumatori.
Questo ha fatto la crisi, di necessità virtù, riconvertire velocemente navi per il trasporto in strutture galleggianti soprattutto per i paesi consumatori dell’Europa. Due realizzate in Olanda a metà 2023, altre tre in Germania, con due in programma, una in Italia, con un’altra che arriverà nel 2024. Sono Floating Storage Regasification Units, FSRU, che permettono un transito annuale inferiore sempre rispetto ai grandi terminali di rigassificazione. Sono da 3-5 miliardi metri cubi (bcm) anno, contro gli 8-10 dei grandi impianti di rigassificazione a terra, quelli che sono stati fatti per decenni nei porti dei paesi consumatori, a Barcellona in Spagna, a Teesside in Gran Bretagna, a Zeebrugge in Belgio.
In Italia ci abbiamo provato per decenni, ma per una ragione o per l’altra, non ci siamo mai riusciti, nonostante fossimo il paese più adatto a questo tipo di impianti, perché importiamo molto gas e perché abbiamo oltre 7 mila chilometri di coste. A terra ne abbiamo fatto uno, tanto tempo fa, all’inizio della stagione del gas, nel 1973: quello di Panigaglia, vicino al porto di La Spezia, da 3 bcm. Poi, nei decenni, abbiamo provato inutilmente a farne decine, da Montalto di Castro, passando per Monfalcone, poi Brindisi, Priolo, Ancona, Ravenna, Gioia Tauro, Porto Empedocle. Invece, ne abbiamo fatti due, entrambi in mare, ben distanti dalla costa, a testimonianza dell’impossibilità di fare cose normali in Italia. Uno è quello al largo di Livorno, entrato in funzione nel 2013 da 3,5 bcm anno, e quello di Adriatic LNG, di fronte alle coste della provincia di Rovigo, da 8 bcm, aumentato nel 2022 a 9, una struttura unica al mondo, un’isola gigantesca in cemento armato posata sul fondo del mare su cui sono stati costruiti gli impianti di rigassificazione. Costato quasi 3 miliardi di dollari, il doppio di quello che sarebbe costato farlo a terra, entrato in funzione nel 2009 dopo anni di difficoltà e di opposizione ambientale a livello locale. Sembrava addirittura anni fa che fossero inutili questi terminali, quasi in eccesso, visto il continuo calo della domanda italiana.
Poi, nel 2022, arriva la crisi del gas e, miracolo, l’Italia riesce a realizzare in poco più di un anno un terminale di rigassificazione, con una FSRU, da 5 bcm anno, ormeggiata nel porto di Piombino. Solo l’emergenza ha forzato alla realizzazione di un terminale nel paese al mondo dove ce n’era più bisogno e dove nei precedenti 50 anni non se n’era realizzato nemmeno uno a terra. Solo con la tecnologia delle navi riconvertite è stato possibile e la Golan Tundra, la nave rigassificatrice, è diventata l’emblema di come l’innovazione tecnologica, e la rottura della crisi, stia cambiando il trasporto del gas naturale anche per un paese ostico come l’Italia.
di Davide Tabarelli – fonte: https://www.worldenergynext.com/