di Salvatore Vassallo
Maurice Duverger ha dato un importante contributo allo sviluppo della scienza politica in Europa. Come altri “maestri” della sua generazione, era arrivato a cogliere la necessità di studi realisti sulla politica, con finalità esplicative, dopo avere inizialmente praticato altre discipline accademiche ed avere scoperto che lasciavano inappagata l’esigenza di fare derivare eventuali prescrizioni dallo studio delle sottostanti regolarità.
Duverger era partito dal diritto costituzionale ed ha poi continuato a pubblicare per tutta la sua lunga e prolifica carriera accademica lavori sulle istituzioni in cui politica e regole si intrecciano. Non si può dire che abbia applicato rigorosamente i canoni della ricerca empirica, se non nella chiave narrativa oggi riconducibile al cosiddetto istituzionalismo storico-comparato. È stato un attento analista di fenomeni politici, sostenuto da una conoscenza approfondita della storia e delle istituzioni, e ha elaborato intuizioni memorabili, che hanno orientato la lettura di quei fenomeni attraverso concetti innovativi, capaci di ridefinire per molto tempo termini di riferimento e quesiti di ricerca.
Basta pensare, ad esempio, alla distinzione tra “partiti di quadri” e “partiti di massa”, sviluppata nel solco della tradizione weberiana. O alla concettualizzazione del sistema istituzionale della V Repubblica come “semipresidenziale”. Oppure, come è ovvio, alla formulazione delle sue famose “leggi” sugli effetti dei sistemi elettorali. Nessuna di queste intuizioni è priva di difetti, sul piano metodologico e sostantivo. Ma tutte sono state innovative nel momento in cui furono enunciate, hanno sollecitato monumentali dibattiti, repliche e riformulazioni che hanno consentito alla disciplina di evolvere.
Anche qui, a titolo di esempio: quelli che Duverger chiama “effetti psicologici” sono piuttosto, come ha chiarito Gary Cox, effetto di un adeguamento razionale di attori politici ed elettori agli incentivi dei sistemi elettorali (di psicologico c’è poco o niente); il sistema uninominale maggioritario a un turno “tende al bipartitismo” solo a certe condizioni, che già Sartori aveva sottolineato. Il sistema istituzionale francese, d’altro canto, non sembra proprio metta capo ad una forma “attenuata” di presidenzialismo (di “semi” ha poco e niente), quanto piuttosto un sistema che consente una alternanza tra fasi iper-presidenziali (di una dominanza del Presidente impossibile negli Stati Uniti) e fasi simil-parlamentari (sempre più rare).
Sottolineare queste contraddizioni non serve ovviamente a sminuire il valore del suo contributo. Tutto al contrario. Segnala come la fabbrica della conoscenza si sviluppi per approssimazioni successive, soprattutto grazie a chi sperimenta. Una cosa che capita più spesso a chi ragiona fuori da schemi disciplinari rigidi, come Duverger ha sempre fatto.