Selvaggia Lucarelli: serve l’aiuto dello psicologo, non delle amiche
Corriere della Sera
21 marzo 2021
di Elvira Serra
(Italy Photo Press)
«Mi sono bucata per quattro anni. Non mi infilavo una siringa nel braccio perché la mia droga non era una sostanza, era una relazione».
Comincia così e non te l’aspetti. Perché Selvaggia Lucarelli, giornalista e scrittrice temutissima e seguitissima sui social da quasi quattro milioni di follower, non sta raccontando la storia di un’altra: è la sua. «La mia storia» è la prima di sei puntate del podcast «Proprio a me» dedicate alle dipendenze affettive, che ha realizzato per Chora Media e che da mercoledì sarà disponibile su tutte le app free. Ed è la storia di un amore sbagliato con un uomo che un giorno dopo l’altro le toglie fiducia in se stessa, dignità, bellezza. Che le ruba quattro anni, il tempo necessario perché riesca infine a guardarsi con tenerezza e a uscire dal pozzo della dipendenza.
L’incipit è spiazzante.
«Dare alle cose il nome giusto è importante. Molti confondono gli amori infelici con le dipendenze affettive. Io volevo che chi ha attraversato quello che ho vissuto io si riconoscesse: non è infelicità, è malattia».
Perché proprio ora?
«Era una di quelle cose che macinavo dentro di me da tanto tempo, questa vicenda si è chiusa molti anni fa. Ne avevo già accennato nei miei libri, sia in quelli più sentimentali come Che ci importa del mondo sia in quelli più ironici come Dieci Piccoli Infami. Poi è successo che davanti a un caffè Daria Bignardi, con la quale ci passiamo il testimone nelle Mattine di Radio Capital, mi chiedesse perché fossi a Milano. Ero arrivata per amore, risposi, e poi ero rimasta per guarire da quell’amore. Guarire non è un verbo consueto, abbinato all’amore. Lei era stupita che potesse essere capitato a una come me. Ne riparlammo in tivù a L’assedio e per me è stata una liberazione. Lì ho provato il desiderio di condividere questa esperienza».
Leon, piccolissimo, l’ha vissuta con lei. La sua mano che stringe Godzilla è uno dei rari sprazzi luminosi di quegli anni neri.
«Il mio rimpianto più grande è di avere perso con mio figlio almeno tre anni, perché forse l’ultimo è stato un po’ più di guarigione. Mi sono persa tre anni di maternità felice. Non che non abbia dato priorità a mio figlio: non ho mai pensato di lasciarlo al padre e di non prendermene cura. Ma non ho dato priorità alla sua felicità. Quando sei vittima di una dipendenza la priorità è avere la dose».
Ne avete più riparlato?
«Quando sono guarita ho cercato spasmodicamente di recuperare e ne ho fatto quasi il mio fidanzato, forse eccedendo nel senso opposto. Dopo abbiamo fatto tante cose belle insieme. E l’ho portato in Giappone a vedere dove è nato Godzilla, come mi aveva chiesto. Era molto piccolo e buona parte di quel passaggio della nostra vita l’ha dimenticato. Si ricorda alcuni episodi e il senso di infelicità. Però vuole sentire il podcast».
E il suo compagno, Lorenzo Biagiarelli, lo ha ascoltato?
«Sì, era molto scosso. Dopo averlo sentito ha pianto».
Non gli aveva raccontato nulla?
«Sì, stiamo insieme da quasi sei anni. Ma non avevo voluto investirlo con questa cosa: sei guarito quando non hai più bisogno di parlarne».
Le amiche sono impotenti.
«In queste vicende purtroppo hanno un ruolo disperato. Ti vedono governata da una cosa su cui non hai alcun controllo e non possono fare niente. Diventi inaffidabile, non fai nulla per salvarti e loro si stancano di soccorrerti perché capiscono che se non ti salvi da sola non ti salverà nessuno».
Nella sua storia non c’è vittimismo. Lei racconta di averla superata quando ha accettato il male che si è fatta e che si è lasciata fare.
«Ho avuto la mia parte di responsabilità, lui si è infilato in una serie di mie pieghe e lati irrisolti. È stato un incontro sfortunato e io ho amplificato in questa relazione tutte le mie problematiche».
Si è fatta aiutare da uno psicologo?
«Ho fatto molta psicoanalisi fai-da-te. Oggi non dico “meno male che è accaduto” perché il prezzo è stato altissimo. Ma se non avessi avuto uno choc emotivo così violento non avrei potuto vedere i miei limiti nella sfera sentimentale e non li avrei potuti risolvere».
Cosa consiglia a una donna che si riconoscerà nella sua testimonianza?
«Al contrario mio, di farsi aiutare. E non dall’amica che ti sgrida, ma da psicologhe che curano le dipendenze affettive».
Ha pensato che l’uomo di cui parla potrà ascoltare il podcast?
«Sì. Magari riterrà che sia la mia versione dei fatti. E forse lo è. Di queste storie non parla nessuno perché non sono drammatiche come i femminicidi. Ma sono pericolose. E bisogna salvarsi».